AGI - Giornata convulsa nel centrosinistra. A scatenare il caos è il seggio alla Camera lasciato vuoto da Roberto Gualtieri dopo l'elezione a sindaco di Roma.
Per quel posto - si voterà il 16 gennaio - il Pd sceglie di offrire la candidatura al leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, suscitando la dura reazione di Matteo Renzi e Carlo Calenda.
Il leader di Iv fa sapere a Enrico Letta che il suo partito non sosterrà mai l'ex premier. Il leader di Azione mette in chiaro che se il candidato sarà Conte allora scenderà in campo lui stesso, in prima persona, perchè "i 5 stelle devono sparire politicamente, soprattutto da Roma dove hanno fatto disastri".
Nel tardo pomeriggio (dopo aver fatto trapelare dal suo staff che era in corso una riflessione e che c'erano perplessità) è lo stesso Conte a mettere la parola fine alla querelle: "Ringrazio il Partito democratico e Letta per la disponibilità e la lealtà nella proposta, ma dopo un nuovo supplemento di riflessione ho capito che in questa fase ho ancora molto da fare per il Movimento. Non mi è possibile dedicarmi ad altro".
Un 'no, grazie' che in qualche modo conferma, riferendo del 'supplemento di riflessione' di averci pensato e, come sostengono fonti parlamentari di centrosinistra, di aver anche inizialmente ipotizzato di accettare l'offerta.
Quanto al diniego, Conte garantisce che non ha nulla a che vedere con il 'niet' pronunciato da Renzi e Calenda (il quale tiene a ricordare che a Roma centro, nel collegio 1, Azione ha incassato alle comunali il 32%), liquidando le loro parole con un "vogliono farsi pubblicità sulle mie spalle. Trovino un altro appiglio, grazie".
Un caos che si riflette anche tra i dem, dove non tutti hanno accolto con favore la notizia della candidatura di Conte alle suppletive. Anche se il coordinatore dei sindaci Pd, Matteo Ricci, osserva: "Ma quando dovremo fare le candidature per i collegi uninominali come faremo? E perchè il Pd non potrebbe candidare l'ex presidente del Consiglio che abbiamo sostenuto? Se non cambia la legge elettorale non c'è alternativa al fronte largo progressista e riformista. O uniti o si perde".
Stesso discorso sostenuto dalla capogruppo Debora Serracchiani: "Io credo che in politica non ci debbano essere nè pregiudizi nè veti, tanto più quando si cerca di costruire un progetto di campo largo".
Il primo a stoppare la candidatura di Conte è Renzi che avverte: "Se nel collegio Roma 1 il Pd mette in campo una candidatura riformista, noi ci siamo. Se il Pd candida Conte, la candidatura riformista noi la troveremo in ogni caso ma non sarà Giuseppe Conte. Perchè il Pd può fare quello che crede, ma regalare il seggio sicuro (a quel punto forse non più sicuro?) al premier del sovranismo, all'uomo che ha firmato i decreti Salvini, all'avvocato che non vedeva differenza tra giustizialismo e garantismo significherebbe subalternità totale".
Anche il leader di Azione attacca a muso duro i dem: "Non c'è nessun nuovo Ulivo, ma una subalternità politica e culturale del Pd verso i 5 stelle", è l'affondo. "C'è un'ossessione del Pd a tenere in vita i 5 Stelle a qualsiasi costo", aggiunge.
Per poi svelare: "Io tre settimane fa ho chiamato Letta e gli ho detto 'non facciamo una cosa all'ultimo che poi ognuno va solo, decidiamo insieme'. E Letta mi ha detto 'assolutamente sì', ma poi non l'ho più sentito. Poi sono usciti alcuni nomi, l'ho richiamato e gli ho detto 'parliamo' ma poi di nuovo non l'ho più sentito fino a che è uscito il nome di Conte. E allora pubblicamente ripeto a Letta: prima di combinare un altro macello possiamo fare una telefonata di 5 minuti? Magari può essere utile per tutto il campo del centrosinistra", conclude Calenda.
L'idea della candidatura a Conte piaceva invece a Leu: "Sarebbe un passo utile e importante", spiega Lorendana De Petris, perchè "rafforzerebbe significativamente la costruzione di quella coalizione politica e dotata di un progetto comune alla quale stiamo dando vita".
Nel centrodestra - dove ancora non si è entrati nel vivo del nome da candidare - si commenta: "Conte? La fifa blu. Pensava di vincere facile ma poi di fronte a Calenda si è dato", dice l'azzurro Francesco Giro. Che il timore di una sconfitta possa essere alla base del diniego di Conte, a mezza bocca lo sostengono anche nel centrosinistra. Così come c'è chi sostiene che la mossa di Letta fosse legata non solo in vista del 'campo largo', ma ancor di più in vista della 'partita per il Quirinale', un modo - è il ragionamento che si fa nelle stesse file ex giallorosse - per blindare le votazioni del centrosinistra.
"Questa esigenza di controllare i parlamentari non mi sfiora", scandisce Conte, che assicura: "Dimostrerò che il Movimento 5 stelle sarà la forza politica più compatta". Insomma, conclude l'ex premier, in una conferenza stampa convocata per illustrare la proposta riguardante i Comitati politici del Movimento, "non credo affatto che la mia presenza in Parlamento sia necessaria", l'essere fuori dal palazzo "non mi impedirà di essere protagonista".