(AGI) - Chiama l’Europa Patria, con la P maiuscola. Sergio Mattarella riceve la laurea honoris causa in Relazioni internazionali ed europee dall’Università di Parma e indica il nostro continente come approdo per chi attraverso lo studio e il confronto vuole sfuggire “alle schiavitù che ci circondano” e insieme indica la strada di una irreversibilità del Next generation Ue, che dovrà essere “spina dorsale” della nuova integrazione.
Il Presidente della Repubblica indossa tocco e toga rossi, il senato accademico e la platea universitaria gli tributano un lunghissimo applauso. Nella lectio magistralis individua nel legame indissolubile tra gli atenei e la nostra storia la formazione di una identità umanistica, fondamento dell’Europa e base del suo futuro. Una identità talmente forte che può vivere con le sue diversità, che ne sono “unico rigore possibile”.
Furono proprio le università a far nascere la “rete culturale unificante dei popoli europei”, ne hanno forgiato “l’identità”, “connotano l’Europa da mille anni” formandone la “coscienza”. “La loro storia mostra anche quanto siano radicate, nello spirito dell’Europa, le questioni delle autonomie e delle libertà”. Ma anche la cooperazione, il superamento “dei nazionalismi e dello spirito belligerante”.
Mattarella ammonisce dunque chi ambisce a “guidare l’Europa” ad avere “una chiara visione della complessità dell’umanesimo europeo”, un sentimento “più largo degli interessi immediati e che supera vecchi e nuovi confini perché crede che la dignità della persona si misuri prima di tutto nel coraggio del dubbio, nel valore dell’attitudine critica”. “La pandemia ci ha dimostrato, ad esempio, quanto importante sia la ricerca medica, ma anche quanto risolutiva sia la volontà politica di mettere i suoi risultati a disposizione di tutti”.
Il Capo dello Stato parla di “destino condiviso”, di cui si è compreso appieno il senso durante la pandemia: “Le istituzioni europee e le politiche pubbliche dell’Unione ne dovranno sempre più tenere conto”. La Ue “ha compiuta una svolta”, “culminata con il Next Generation EU”. “Ha mutato alcuni dei paradigmi che avevano condizionato le politiche continentali nelle precedenti crisi degli anni Duemila, penalizzando fortemente i Paesi più deboli”. Si è trattato di un “salto di qualità”, una vera e propria “lezione per l’Unione Europea”, che “ha sollecitato una visione lungimirante: far diventare questo Piano di ripartenza la spina dorsale di una nuova, più solida e più equa, integrazione del Continente”.
Le diversità, l’apertura, chiarisce Mattarella citando Edgard Morin, “non sono ‘una mancanza di rigore’, piuttosto rappresentano oggi ‘l’unico rigore possibile’”. E se sul fronte interno la ue deve essere “più integrata, nel governo delle sue istituzioni e nella solidarietà delle politiche pubbliche”, verso l’esterno solo la sua apertura oltre le frontiere “costituisce l’ossatura del proprio ‘soft power’. Una risorsa preziosa nel mondo globale”.
Mattarella cita poi Giuseppe Mazzini, per il quale “la patria è la casa dell’uomo, non dello schiavo”. E dunque “la Patria Europa, con le sue università, può essere l’approdo anche per chi, qui giunto o che giunge tra noi, vuole, attraverso lo studio e il confronto con i maestri, sfuggire alle schiavitù che ci circondano”.
“Le università sono state, nei secoli, motori dell’Europa; che oggi è la nostra casa. L’auspicio è che sappiano continuare ad esserlo anche in futuro” afferma il Capo dello Stato. Che mette alcuni punti fermi sul rapporto tra accademie e società. Ultimamente “si è fatta strada l’idea insidiosa che solo il perseguimento dell’eccellenza possa rappresentare il futuro dell’alta formazione; talvolta con la spinta a concentrare le risorse su pochi Atenei, rischiando di riprodurre implicitamente un modello di formazione destinata solo ad alcuni.Per le università, come del resto per altre istituzioni, il metodo migliore resta, invece, “la costante ricerca della connessione tra la selezione e la valorizzazione delle eccellenze da un lato, e l’impegno continuo per l’ampliamento e la diffusione delle conoscenze dall’altro”: “La meritocrazia non può essere sinonimo di una formula che legittimi chi si trova già in posizione di privilegio, bensì quella di chi aspira a mettersi in gioco”. Perché “ciascuno affronta la propria esistenza all’interno di una comunità di origine, talvolta modesta e fragile, ma deve poter scegliere di aspirare a una comunità di intenti le cui porte sono aperte dal sapere”. E se talvolta tende a prevalere il fascino di una visione che immagina il sistema universitario come un’impresa”, è bene ricordare che “il ‘profitto’ che si può trarre dall’Università è la crescita del capitale umano, vera forza del Paese, nonché i frutti della ricerca da mettere a disposizione dell’intera comunità”.
In Italia poi, a dispetto della più antica tradizione universitaria, siamo “in coda, purtroppo, per numero di laureati, per investimenti. La nostra università non risulta attrattiva come meriterebbe. Potremmo dire: non è amata come dovrebbe. Sta a noi utilizzare anche le disponibilità del Piano di ripartenza per dare maggior forza alle università e renderle ancor più una risorsa essenziale per lo sviluppo del Paese”.
Una sollecitazione che, in modi diversi, il Capo dello Stato rivolge anche alle istituzioni europee a soli quattro mesi dalla fine del suo mandato: “forse è giunto il momento per chiedere loro di inserire nella loro agenda, accanto alle grandi questioni incompiute della sicurezza e della armonizzazione economica e fiscale, anche il tema della dimensione universitaria”. (AGI)