AGI - Dialogare con i talebani: sì, no, forse. Mentre il termine per l'evacuazione fissata dal nuovo regime di Kabul si avvicina, i leader politici si interrogano sulla exit strategy della vicenda afgana. Lo fanno dal palco del Meeting di Rimini dove si ritrovano Giuseppe Conte, Enrico Letta, Giorgia Meloni (in collegamento), Antonio Tajani, Ettore Rosato e Matteo Salvini.
Le battute iniziano sull'uscio, dove i leader sono intercettati dai cronisti per uno scambio di richieste di dimissioni: se Enrico Letta conferma la volontà del Pd di portare la mozione di sfiducia al sottosegretario Durigon in Parlamento, Salvini chiede un passo indietro della ministra Lamorgese. Sul palco, invece, il duello è fra Giuseppe Conte e il leader della Lega.
Il nuovo capo del M5s arriva qualche minuto in ritardo per un incidente in autostrada che lo ha rallentato ma, quando si siede, deve già rispondere alle accuse della Lega che gli rimprovera la ricerca del dialogo con gli studenti coranici afgani. "Mi hanno dipinto come un fiancheggiatore di tagliagole". Il riferimento è all'invito di Conte perché si apra un canale di dialogo con i talebani: "La situazione attuale, per come si presenta, non contempla altre soluzioni che non sia il dialogo con i talebani perché un'altra guerra non è pensabile e non possiamo lasciare nell'angoscia la popolazione afgana", spiega il leader pentastellato.
"Non perché i talebani siano aperti al dialogo, certo le ultime immagini non depongono verso un cambiamento del loro atteggiamento, ma non abbiamo alternative a un dialogo che assicuri protezione e tutela delle libertà per le persone che rimarranno", aggiunge Conte. "Dobbiamo continuare a lavorare sui corridoi umanitari. Io ho detto questo, in buona compagnia, e credo che questa soluzione arriverà anche dal G20. Fa bene Draghi a insistere su questo formato".
Salvini non ci sta e, sottolineando di essere d'accordo con Letta sulla necessità dei corridoi umanitari, aggiunge: "Sono d'accordo con Letta, non con Conte. Io il dialogo con i terroristi islamici non lo legittimo. Io dialogo con chi rappresenta una istituzione, non con chi dice che i diritti delle donne verranno garantiti con la legge islamica". Il leader della Lega sottolinea: "Su questo l'Europa ha le sue colpe, a cominciare dal cancellare le radici giudaico-cristiane dalla sua costituzione".
Sulla stessa lunghezza d'onda è Antonio Tajani: "I talebani non rispettano i patti, il loro obiettivo è far fuori l'avversario. Il dialogo con questi signori è impossibile. Bisogna confrontarsi, avere un rapporto, ma questo non significa dialogo", spiega il coordinatore nazionale di Forza Italia. Prima del dialogo, tuttavia, occorre pensare alle vite umane.
Il tempo stringe, la data del 31 agosto, fissata come dea line dai talebani per l'evacuazione, si avvicina e il rischio, per dirla con Enrico Letta, è quella di trovarsi dinanzi a "una tagliola tremenda". Per questo i leader politici chiedono quasi in coro di rinviare quella data.
Meno corale è la risposta riguardante l'accoglienza delle persone in fuga da Kabul. "Dobbiamo estendere il metodo del console italiano che prende un bambino sul tetto e lo porta via. Dobbiamo essere quell'Italia lì", dice Letta. E aggiunge: "Dobbiamo ottenere i corridoi umanitari, sono fondamentali. Infine, abbiamo bisogno di ripensare il ruolo dell'Occidente. Da questa sconfitta gravissima si deve tirare una lezione".
Una proposta che Giorgia Meloni, tuttavia, respinge: "La soluzione per 30 milioni di afgani non sarà portarli in Europa, non può essere questa la soluzione", sottolinea Meloni. Per la leader di FdI: "Il tema da porre è il rapporto con queste nazioni fondamentaliste. Non credo che la soluzione siano i corridoi umanitari".