AGI – Ci risiamo: Bruto, anche tu? Perché la sfibrante lotta tra Grillo e Conte – è evidente, nessuno invochi copyright nell’interpretazione – altro non è se non l’ennesimo riproporsi del dramma incentrato sul tema della successione al potere. La qual cosa, in una cultura paternalistico-tribale dalla forte connotazione minoico-mediterranea come la nostra, si traduce inevitabilmente nel parricidio, vero o figurato.
Quindi sì, ci risiamo. Zeus che liquida Kronos, il quale a sua volta ha liquidato Urano segandogli, il farabutto, i genitali perché non abbia più possibilità di figliare suoi potenziali rivali. Ahia. (Nota il colto: comunque, grazie alla parte offesa caduta in mare, sgorgò dalle onde la più bella delle divinità, Afrodite. Risposta: sai che consolazione).
È questo fatto cruento che segna l’inizio del tempo, delle ere, delle successioni. Della vita, insomma. Freudianamente parlando, non c’è figlio che non cresca se prima non ha fatto a fettine il genitore. E se accadeva persino nelle famiglie borghesi della Vienna d’epoca, pretendete che non avvenga anche a Roma e dintorni? Eccome: avveniva e avviene. Due brevi esempi, di squisita fattura democristiana.
Primo esempio: è il 1956, congresso provinciale della Dc di Sassari. Colpo di mano di un manipolo di giovanotti, che a sorpresa si prendono tutto (segreteria politica, amministrativa, tutti i gangli del partito locale) e si lanciano verso la conquista della Capitale. Tanto per fare due nomi, tra quelli che subito vennero ribattezzati i Giovani Turchi: Francesco Cossiga e Beppe Pisanu.
Secondo esempio, quasi contemporaneo al primo. In Irpinia l’onorevole Fiorentino Sullo era l’uomo più in vista. Aveva persino dato il suo nome ad un progetto urbanistico nazionale ambizioso e forse persino immaginifico. Non a caso venne bocciato. Comunque non fu questa la sua fine. La sua fine venne quando un gruppo di giovanotti lo misero da parte con un colpo di mano vibrato nel nome del rinnovamento. Tra loro c’era Ciriaco De Mita.
Il quale De Mita, al congresso della Dc del ‘69, tentò la manovra anche a livello nazionale, con un altro puledro di razza a fargli da compare. Si chiamava Arnaldo Forlani.
SI chiuda l’incompleta rassegna con il Psi, ed il ricordo del tentativo di Claudio Martelli di cavalcare le prime avvisaglie di Tangentopoli per mettere in mora Bettino Craxi, fino ad allora l’indiscusso vecchio del branco. Al vecchio del branco bastò un editoriale sull’Avanti per rimetterlo al suo posto, ma non è detto che per Martelli si trattasse di una iattura. Infatti, quando Craxi uscì di scena, tutti accorsero ad acclamare il nuovo segretario socialista: il povero Ottaviano Del Turco, cui era stata rifilata la solenne fregatura.
Berlusconi la lezione l’ha appresa fin dall’inizio, e quando in questi anni un delfino si è affacciato all’orizzonte, è stato prontamente lui a segargli il quid. La qual cosa lo ha mantenuto al potere, ma ora che anche lui dà segni di stanchezza Forza Italia non ha nessuno disposto a garantirle il futuro, e Zeus deve tentare di vendere a saldo a Salvini, che tira sul prezzo.
Una villa al di sopra di ogni sospetto
Non si sfugge all’eterno e ciclico rincorrersi delle ere e delle stagioni. Non a caso Esiodo metteva tutto sullo stesso livello: teogonia e cura dei campi. Perché anche gli dei dormono e si risvegliano, ma non è detto che lo facciano seguendo i bioritmi degli esseri umani.
Se ne accorse per primo James Frazer, il padre dell’antropologia. Cento e passa anni fa raccontò che sotto Roma c’è un bosco, con un lago. Dal lago, ogni notte, mentre gli uomini dormivano, si alzava in volo una dea per andare a caccia con la sua muta di cani. A lei gli abitanti del luogo dedicarono il bosco ed eressero un santuario.
Nel bosco e nel santuario viveva poi un uomo, un Re che custodiva un ramo d’oro sacro a Diana cacciatrice. Viveva nel terrore, il poveretto: era uno schiavo fuggitivo che aveva acquistato la libertà uccidendo il precedente re-custode, a sua volta un ex schiavo fuggitivo. Prima o poi, a qualsiasi ora del giorno come della notte, sarebbe arrivato dal nulla un altro schiavo fuggitivo ne avrebbe preso la vita, la libertà e il ramo d’oro.
Ora, la digressione serve a capire che per i Romani valevano due cose. La prima è che i re vanno ammazzati; la seconda che il potere rende soli, monarchi e monadi, mentre in cambio concede terrore. Fu per questo che Giulio Cesare distrusse la villa che si era appena fatto costruire.
Infatti Nemi (è di Nemi che stiamo parlando, del lago e del bosco che ha in comune con Ariccia) era allora come oggi meta delle fantasie vacanziere del romano medio. Nel 50 avanti Cristo come nel 1950 dopo Cristo era tutto un farsi la villetta fuori porta, e Cesare una volta diventato un po’ ricco, mentre era in Gallia, dette ordine di costruire a Nemi il suo buon ritiro.
Tornò, fece fuori Pompeo e, rifiutando per tre volte la corona di Re decise di definirsi l’Elevato. “L’Elevato” in latino si dice Dictator. Lui fece aggiunge: “a vita”. Non si sa mai. E per questo fece distruggere la villa di Nemi dove non aveva dormito nemmeno per una notte.
Infatti si era detto: vuoi vedere che adesso a qualcuno viene in mente l’idea? Nel senso che la coltellata liberatrice al re del bosco di Nemi poteva, chi lo sa, arrivare dritta a lui, che Re di Roma per carità non era, ma tanto ci somigliava.
A cose fatte, si dimostrò che aveva ragione perché Bruto, traditore massimo, nelle convulse giornate seguite alle Idi di marzo non trovò di meglio che proporre a Cicerone e Lucio Cesare, parente alla lontana della Vittima, un bel convegno a carattere politico, da tenersi simbolicamente proprio a Nemi. Cicerone, che non era certo stupido, rifiutò con una scusa di aderire a quella “res odiosa”, che in latino vuol dire “porcata”.
E così ancora oggi, nel nome dell’eterno e ciclico mutare delle stagioni e della commedia umana, assistiamo all’elevato che si ripara dal fuggitivo, nascosto negli anfratti della selva, pronto al parricidio nel nome della continuità di un potere solitario. O, almeno, della sopravvivenza politica. Persi nel bosco, l’uno come l’altro.
Perché magari il ramo d’oro non c’è più, ma in politica il vuoto non esiste e prima o poi qualcuno lo colma. Vicino ad Ariccia, per chiudere il racconto, viveva un giovane che avrebbe letteralmente seppellito tutti: Cesare, Bruto e persino Cicerone. Sarebbe diventato macché Re: Principe e Imperatore.
Si chiamava Ottaviano. Ma non era Del Turco.