AGI - L’ingresso del Movimento Cinque Stelle nella famiglia socialista europea? “Non è il momento migliore per un passo del genere. E anche sul metodo ho molti dubbi: non si è discusso abbastanza, anzi non si è discusso affatto. Il tema non è stato affrontato né dalla delegazione del Pd in Europa né a livello nazionale. Prima di definire le alleanze, che siano strategiche o meno, il Partito Democratico deve occuparsi del suo percorso, di definire una sua identità, una sua idea di società. E se dobbiamo parlare di alleanze e dialogo con altre forze politiche non possiamo ignorare tutte quelle forze che per storia, valori e cultura ci sono vicine come Iv e Azione".
Irene Tinagli, eurodeputata del Pd, è la presidente della commissione Affari Economici del Parlamento europeo, che nell’ultimo anno ha giocato un ruolo chiave della definizione del Recovery Fund ed è un osservatorio privilegiato per le politiche economiche di Bruxelles (la commissione Econ ospita a cadenza regolare i vertici delle istituzioni europee e dal tavolo della commissione parlamentare sono passati, tra gli altri, Mario Draghi e Christine Lagarde, Paolo Gentiloni e i presidenti dell’Eurogruppo). Intervistata dall’AGI, Tinagli interviene sull’ipotesi di un ingresso dei pentastellati nel gruppo dei Socialisti e Democratici a Strasburgo, corazzata di 152 europarlamentari, secondo gruppo politico dell’Eurocamera dopo i Popolari.
- D - Si discute da tempo del possibile ingresso del M5S nel gruppo dei Socialisti e Democratici in Europa. La scomposizione del quadro politico seguita alla crisi del governo Conte-due sembra avere impresso un’accelerazione, almeno mediatica, a questa ipotesi. Cosa ne pensa? Ne avete discusso all’interno della delegazione Dem?
- R - Non c’è stata una discussione. Non abbiamo fatto nemmeno una riunione né nel gruppo né nel partito. Discussione che io ho sollecitato. Anche provando ad affrontare questo tema senza preclusioni ideologiche o bandiere, si tratta di una questione troppo seria che va dibattuta e non si può affrontare con le indiscrezioni.
- D - Al di là del metodo, crede che i tempi non siano maturi per un passaggio del genere?
- R - Non credo che questo sia il momento migliore. Prima di favorire un approdo dei Cinque Stelle nella famiglia dei socialisti europei sia il Pd che lo stesso Movimento devono chiarire molti passaggi. Dove va il M5S? Che cos’è oggi il Movimento? Fino a poco tempo fa era alleato di Nigel Farage su posizioni antieuropee e oggi si definisce liberale, europeista e moderato. E’ questo l’approdo? Stanno discutendo anche loro, facendo un percorso. Prima di prendere decisioni credo sia giusto aspettare che queste posizioni si definiscano. Anche per una forma di rispetto nei loro confronti.
- D - Potrebbe accadere prima della fine della legislatura?
- R - Per iniziare a discuterne aspetterei proprio di scavallare la metà della legislatura. All’Europarlamento a metà legislatura si ridisegnano gli incarichi, compreso quelli apicali, potrebbero entrare in gioco ambizioni e potenziali conflitti. Questo è un elemento che introduce tensione nel processo e può alimentare retropensieri sulla effettiva sincerità di questa conversione. Sono d’accordo con chi dice che un “gruppo non è un tram”, serve superare questo momento e poi si può avere un dibattito sincero su valori e programmi.
- D - Come reagirebbero i partiti socialisti europei a un eventuale ingresso del Movimento nel gruppo S&D? Gli spagnoli, prima delegazione del gruppo socialista a Strasburgo e che esprimono la presidenza, non sembrano essere contrari.
- R - Non si può ignorare questo aspetto, non è solo una scelta del Pd che resta neutra. Non so se i colleghi tedeschi della Spd sarebbero così entusiasti di accogliere membri di un Movimento che fino a poco tempo fa stava su posizioni diametralmente opposte. Lo stesso vale per altri gruppi socialisti del Nord Europa. E' un processo serio che coinvolge tutte le delegazioni. Di certo non è bello nei confronti dei colleghi delle altre delegazioni dare per scontato un passaggio come questo senza discuterne anche con loro.
- D - Tornando al Pd, c’è stato un appiattimento dell’azione politica del Partito Democratico rispetto al governo Conte sui temi europei? Una sorta di subalternità sia mediatica che politica? Alcuni sondaggi indicano un travaso di voti dai Dem ai Cinque stelle nel caso in cui Conte assumesse la leadership del M5S.
- R - Questo potenziale travaso di voti legati alla figura di Conte era da mettere in conto e non era difficile da prevedere. Non ho mai visto unito il partito nella difesa di un suo segretario come invece è accaduto con la leadership di Conte. Il Pd, per senso di responsabilità, nell’ultimo anno più che portare avanti e rivendicare le proprie battaglie vinte e i propri temi, ha fatto una bandiera della fedeltà al premier, che è il leader di un altro partito. Non ha saputo valorizzare il proprio contributo al governo. Non credo che il Pd sia stato piatto e subalterno, al contrario, ha influenzato le scelte in Europa. Conte non ha portato a casa il Recovery da solo.
Next Generation Eu non si è definito solo nei 4 vertici dei leader, ma in mesi e mesi di negoziati a livello di Commissione, Parlamento, gruppi politici. L’accordo macro è un conto, ma la vittoria è stata portata a casa da una squadra composta tutta da esponenti del Pd da Gualtieri a Gentiloni, ad Amendola a Sassoli. Io stessa ho passato intere nottate a negoziare in commissione l’aumento dell’anticipo del Recovery che siamo riusciti a ottenere. Alla fine per senso di responsabilità forse, il Pd queste vittorie non ha saputo rivendicarle.
- D - Al di là di quello che succederà al gruppo in Europa, crede che la via da seguire per il Pd sia quella di lavorare per un’alleanza strutturale con il M5S? Quale invece l’alternativa?
- R - Le alleanze sono degli strumenti per realizzare un programma. Cosa significa alleanza strutturale? Come si fa oggi a parlare di un’alleanza strutturale con un Movimento che sta attraversando questa fase di grande trasformazione? Noi dobbiamo occuparci del nostro percorso, costruire una posizione di forza non ideologica ma culturale, un’idea di scuola, di sanità, di economia, di lavoro, di società.
Il punto non è qual è l'alternativa all’alleanza con i M5S, ma alleanze per fare cosa. Il Pd deve recuperare questa idea di sé e una funzione di guida. Inoltre, se dobbiamo parlare di alleanze e di dialogo con altre forze politiche non possiamo ignorare tutte quelle forze che per storia, valori e cultura ci sono vicine - proviamo ad astrarci dai nomi e dai personalismi, da ripicche e rancori personali - ma come possiamo ignorare Italia Viva o Azione che addirittura sono nati dal PD? Là dentro ci sono idee e persone con cui abbiamo fatto battaglie comuni per decenni”. (AGI)