AGI - Dopo aver "scelto di rimanere in silenzio per qualche giorno", il ministro degli Esteri Luigi Di Maio scrive una lettera a la Repubblica per dire che "il Paese sta attraversando una crisi senza precedenti" e "sotto gli occhi di tutti" e che al tempo stesso è "una crisi pandemica, sanitaria ed economica" che sta suscitando "proteste ovunque, non solo in Italia". Cosicché "le persone scendono in strada", constata Di Maio, perché "c'è rabbia, incredulità, sofferenza. È naturale. Sono stati d'animo figli dell'incertezza".
Secondo il capo della diplomazia italiana, "l'obbligo di un governo è quello di reagire e di ascoltare, ma soprattutto è quello di assumersi le proprie responsabilità" e "i vandali vanno fermati, ma le piazze vanno ascoltate" in quanto sono "un segnale che il governo non può trascurare" anche perché pure "gli umori hanno un peso in una situazione come questa".
Quindi, scrive ancora il ministro degli Esteri, "non basta liquidare le proteste come se le proteste fossero tutte uguali, perché tutte uguali non sono". E lancia un invito: "Fermiamoci un attimo a pensare. Guardiamoci intorno e come rappresentanti delle istituzioni cerchiamo di capire che oggi uno dei messaggi più divisivi e conflittuali, forse, lo sta dando proprio la politica" perché "c'è un'Italia spaccata a metà, è vero, perché ad essere frammentato è l'intero arco parlamentare", afferma il titolare della Farnesina, secondo il quale è necessario "essere sinceri prima di tutto con noi stessi".
Il problema per Di Maio è che "c'è una maggioranza che continua a pestarsi i piedi giorno dopo giorno, le opposizioni che non perdono occasione per soffiare sul fuoco del conflitto e c'è chi riesce a contestare un decreto che ha contribuito a realizzare. È inutile cercare ragioni in questo caos. è più opportuno invece porsi delle domande". E si chiede: "Come può in questa fase cosi' delicata prevalere l'ambizione del singolo all'interesse collettivo? Come può la politica anteporre i propri colori al bene comune? E come può, subito dopo, ergersi a cattedra morale lasciando intendere che siano gli italiani ad essere i principali colpevoli della crisi?".
La risposta, per il capo della diplomazia, è che d'ora in poi "ognuno di noi di fronte allo scontro dovrà trovare la forza di fare un passo indietro e rinunciare. Rinunciare al conflitto per dedicarsi alla Nazione. Rinunciare all'arroganza e ritrovare quel senso di umiltà che proprio la politica sembra aver smarrito". E per questo obiettivo, "servono responsabilità e lealtà istituzionale", perché citando Nenni, "ci sono nella vita delle testimonianze da rendere alle quali non ci si può sottrarre" scrive Di Maio, come "aver dato il massimo per ricucire un Paese lacerato, che abbiamo l'obbligo di difendere e proteggere".