Prima Facebook, poi Twitter. I due social dove si raccoglie la stragrande maggioranza dei sostenitori online di Donald Trump decidono di oscurare un suo post in cui il presidente Usa mette a paragone l'influenza stagionale in arrivo con l'epidemia da coronavirus, invitando gli americani a imparare a conviverci. Il motivo è spiegato in un avviso: quel post contiene informazioni scorrette potenzialmente pericolose, sostengono le piattaforme.
Una decisione che ha scatenato l'ira di Trump che a distanza di due ore in un secondo post ha minacciato nuovamente di abrogare la 'Sezione 230', una clausola del Communications Decency Act inserita nel 1996 che permette ai social di non essere ritenuti responsabile davanti alla legge dei contenuti online pubblicati dai loro utenti.
"L'influenza stagionale si avvicina! Molte persone muoiono di influenza ogni anno, a volte piu' di 100.000, e nonostante il vaccino. Chiuderemo il nostro Paese?", aveva scritto Trump nel post segnalato. Poi risponde alla sua domanda: "No, abbiamo imparato a conviverci, proprio come stiamo imparando a convivere col Covid, molto meno letale per la maggioranza della popolazione". Contenuti ritenuti dai social in violazione con le norme sulla disinformazione online adottata a inizio anno.
Tanto è bastato per causare il nuovo affondo del presidente Usa in piena campagna elettorale: "Abrogare la Sezione 230!". Stesse parole, stessi toni minacciosi usati 6 mesi fa, quando Twitter oscuro' un post del presidente in cui paventava il rischio di brogli nelle votazioni via posta. Quello fu anche il primo intervento diretto del social su un twitt di Trump, qualche mese dopo aver adottato le nuove politiche per arginare la disinformazione sulla piattaforma che prevedeva la segnalazione di post falsi o fuorvianti.
Cancellare la 'Sezione 230' è da molti considerata l'arma piu' potente che la Casa Bianca puo' scagliare contro i social. Di certo non puo' chiuderli. Ma l'abolizione della '230' potrebbe rendere loro la vita molto difficile, perchè di fatto intaserebbe gli uffici legali delle piattaforme di cause e ricorsi di persone che si ritengono offese dai post di altre persone.
Non è un caso se negli utlimi mesi si sia dibattuto molto negli Usa dell'opportunità o meno di mantenere la '230'.
Per gli oltranzisti della libertà di parola, Facebook, Twitter o Google non possono essere responsabili di nulla. Per i critici, la legge ha (più o meno direttamente) concesso alle piattaforme uno scudo normativo che ha permesso loro di ignorare i rischi legati ai contenuti nocivi, false informazioni, diffamazioni.