AGI - "È stata una vittoria strepitosa, che corona la mia storia da leghista: mai avuto altre militanze. Nel 2010, la mia prima elezione fu meramente politica: tanto valeva il centrodestra, tanto ho preso io". È l'analisi del risultato elettorale e del suo successo personale che fa il governatore del Veneto Luca Zaia in un'intervista al 'Corriere della Sera'.
Zaia alla luce del suo 76,79% oggi può dire: "Questo voto è il riconoscimento del mio lavoro da parte dei veneti. Ma anche un segno di protesta verso Roma. Civile, ma protesta". E osserva ancora che "nel 2020 il rapporto tra cittadini e governatore diventa viscerale. Prima il governatore era su un piedistallo, ora mi scrivono su Instagram, mail, WhatsApp", cosicche', dice, "il presidente diventa una sorta di super sindaco".
"Si sono azzerate le distanze" aggiunge, "il cittadino sceglie non solo il partito ma anche l'uomo: non esiste un partito che valga il 70%". "Nemmeno uno dei miei oltre 2 milioni di elettori ignorava che io sono un leghista. Ma il valore dei candidati va oltre. Non significa che i partiti siano finiti, i partiti sono la sacralità dell'idea e l'identità. Ma i presidenti devono declinare l'identità nel modo migliore: mi rifiuto di pensare che solo a destra si chieda legalità e ordine pubblico e dall'altra parte tutti pensino che i delinquenti abbiano avuto un'infanzia difficile".
La chiave del successo, spiega, risiede nel fatto che "cerco di rappresentare il Veneto. Non è questione di gestione del Covid, i sondaggi già mi davano al 70%. Io ho ereditato una Regione che era la periferia dell'impero". Poi, "dopo l'Autonomia, la riforma sanitaria, le colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, le Olimpiadi, il maggior cantiere italiano che e' la Pedemontana, mi lasci dire che qualcosa e' cambiato. Ieri eravamo lavoratori e pagatori di tasse, oggi siamo una comunità che spesso detta l'agenda".