AGI - Agenti federali e forze dell’ordine americane sono entrate nel consolato cinese di Houston, in Texas, che è stato chiuso e sgomberato come ordinato dall'amministrazione di Washington che ne ha assunto il controllo. Si chiude così il primo capitolo della “guerra dei consolati” tra le due potenze, indice di quello che è ormai uno scontro ideologico tra le due super potenze e che ha fatto tornare a parlare di ‘nuova Guerra Fredda’.
L'ultimo braccio di ferro tra Pechino e Washington è partito dopo l’ordine del dipartimento di Stato Usa di chiudere il consolato generale cinese a Houston, per i timori legati alla protezione della proprietà intellettuale statunitense e dei dati dei cittadini. La rappresaglia della Cina è stata speculare, con la notifica della chiusura del consolato generale Usa a Chengdu, nel Sud-Ovest del Paese, una delle sedi diplomatiche ‘sensibili’ anche politicamente perché ha la giurisdizione anche sulle regioni autonome di Xinjiang e Tibet.
Agenti federali sono entrati, ieri sera, dal retro nel consolato cinese in Texas e ne hanno assunto il controllo dopo che il personale aveva lasciato la struttura. Il consolato a Houston "era un microcosmo, riteniamo, di un più ampio network supportato dai consolati cinesi negli Stati Uniti che istruiva le 'spie' su come evadere i controlli", hanno spiegato le forze dell'ordine statunitensi. A Chengdu, invece, lo staff americano ha fatto già i bagagli e rimosso le insegne Usa dall’edificio, anche se ancora non è chiara la scadenza esatta per liberare lo stabile fissata dalle autorità cinesi.
La scelta di chiudere la rappresentanza americana a Chengdu, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin, è dovuta ad "attività incompatibili" con il suo status di sede diplomatica, che hanno interferito negli affari interni della Cina e ne hanno minacciato la sicurezza.
La lettura di Pechino dell'attuale escalation diplomatica vede l'intera responsabilità ricadere su Washington. Il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha parlato di "antagonismo ideologico" degli Stati Uniti, che vogliono fermare lo sviluppo della Cina. Pechino, ha rimarcato Wang, non intende portare le relazioni con gli Usa su un piano conflittuale, ma salvaguarderà la propria "sovranità e dignità nazionale" e i suoi interessi.
Se, da un lato, la Cina ribadisce di non volere vedere degenerare lo scontro con gli Stati Uniti in una "nuova Guerra Fredda", dall'altro Washington non sembra risparmiare colpi. Durante un discorso alla Richard Nixon Library, intitolata al presidente Usa che dal 1972 ha contribuito ad aprire le relazioni con la Repubblica popolare cinese, il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha ammonito che "le azioni di Pechino minacciano il nostro popolo e la nostra libertà”, perché "se il mondo libero non cambia, la Cina comunista cambierà sicuramente noi".
Parole respinte dalla diplomazia cinese. Quella di Pompeo, ha denunciato il ministero degli Esteri, è una "nuova crociata" contro la Cina. "È giunto il momento che tutte le persone che amano la pace si facciano avanti per impedirgli di fare al mondo un maggiore danno", ha poi commentato un portavoce del dicastero, dopo avere paragonato il segretario di Stato Usa a un aspirante John Foster Dulles del 21esimo secolo, suo predecessore come segretario di Stato durante la presidenza di Dwight Eisenhower, e noto per le sue posizioni fortemente anti-comuniste in chiave anti-sovietica.
E per rimanere in clima da Guerra Fredda, è di ieri la notizia dell’arresto della quarta "spia" cinese incriminata dall'amministrazione americana insieme ad altri tre ricercatori e che si era rifugiata nel consolato di Pechino a San Francisco. I quattro sono accusati di frodi per ottenere i visti negli Usa e di legami con i militari del Dragone. Allo stesso tempo, un cittadino di Singapore negli Usa ha ammesso di aver collaborato con l’intelligence cinese dietro la copertura di una società di consulenza.