AGI - “Quella che avevamo concordato non sarebbe stata una posizione isolata di Fanfani. Altri, come Donat-Cattin, Bisaglia, Emo Danesi mi avevano garantito che avrebbero sostenuto quella linea. Ciò avrebbe prodotto una modifica degli orientamenti precedenti e avrebbe messo le Brigate rosse in una condizione di difficoltà. E insieme sarebbe stato un segno di attenzione per quello che stavano facendo i socialisti. Sarebbe stata una riunione importante, molto importante” per la salvezza della vita di Aldo Moro.
Ad affermarlo oggi in un’intervista al Corriere della Sera è Claudio Signorile, al tempo del rapimento Moro vicesegretario del Psi e tra gli esponenti più impegnati nella ricerca di una soluzione politica che salvasse la vita del presidente della Dc e che per questo scopo incontrò più volte esponenti dell’autonomia romana. Ma proprio dai colloqui con Piperno e Pace ebbe l’impressione che questa posizione di Fanfani sarebbe stata sufficiente, perché – dice – “molto probabilmente già allora si era stabilito un intreccio fra il sistema dei Servizi e la realtà del brigatismo”.
Signorile si dice convinto che “tutta la vicenda dei cinquantacinque giorni va letta con un doppio riferimento: i brigatisti che direttamente, fisicamente, compiono l’operazione — anche con una dialettica interna tra la componente più politica e quella militare — e le forze internazionali intenzionate ad assicurare una determinata evoluzione di quel passaggio storico”. Poi Signorile ricorda che la posizione di Cossiga era diversa e che il ministro dell’Interno “ha sempre avuto un rapporto con i Servizi”.
“ Forse – racconta l’ex esponente socialista – era naturale che fosse così. Ma in quel periodo avviene un radicale mutamento degli assetti dei Servizi. È un fatto storico che gran parte dei vertici furono inquinati dalla P2. E non ho mai capito l’uso di quel consulente americano che ha sempre dichiarato esplicitamente di avere come unico obiettivo quello di assicurarsi che Moro non uscisse vivo dalla prigione Br. Cossiga in quel periodo sta costruendo il suo futuro politico. Se Andreotti è il garante dello statu quo, Cossiga è il garante del divenire, di quello che si sta preparando”.
Poi Signorile ricorda un episodio di Cossiga che Signorile ricorda in particolare: “C’è una circostanza che non finisce di turbarmi”. Quando Cossiga “mi chiama da lui la mattina dell’assassinio, prima del momento in cui viene trovato Moro, perché lo fa? Io allora ho pensato che volesse commentare ciò che stava per accadere nella Dc quella mattina. Vado lì, ma lui non fa nessun cenno a questa cosa. Allora penso: forse lui ha la notizia che l’hanno liberato o lo stanno liberando. Se no perché mi ha chiamato? Fa in maniera che io sia lì quando si apprende di Via Caetani. Nel suo ufficio c’era una cicalina collegata con il Prefetto e il capo della Polizia.
“È stata individuata un’automobile, andiamo a vedere”. Un attimo di silenzio e poi: ”È la nota personalità”. Cossiga diventa bianco, dice: “Mi devo dimettere”. “Devi farlo”, gli dico. Ci abbracciamo, me ne vado. Perché mi ha fatto andare lì quella mattina? Me lo chiedo ancora oggi".
Ma che spiegazione si è data Signorile di quella circostanza? “Non me la sono voluta dare”, risponde semplicemente. E aggiunge: “Però il pensiero peggiore è che lui consapevole che la vicenda si stava concludendo volesse un testimone inattaccabile in grado di dare conto della sua sorpresa e del suo sgomento. Devo pensare questo”. Perché? “Cossiga, in quel tempo, guardava ‘oltre’” è la laconica risposta dell’ex esponente di primo piano del Psi di allora.