Qualche segnale c'era stato anche nell'assemblea dei deputati di lunedì, quando una parlamentare del Partito Democratico ha preso la parola per ribadire l'importanza di non lasciarsi passare i provvedimenti sopra la testa a causa delle mediazioni tra governo e leader di opposizione. Ieri poi, è stato Andrea Orlando, ad escludere che il piano semplificazione proposto dal Pd per velocizzare la Fase 2 possa essere oggetto di un nuovo Dpcm: "Pensiamo piuttosto di inserirlo nel dl Liquidità", aveva risposto a domanda precisa. Insomma, il ricorso massiccio allo strumento del decreto del presidente del Consiglio comincia a stancare i gruppo parlamentari dem.
La 'sveglia' di Cartabia ai dem
Di qui l'intervista con cui oggi il capogruppo Pd alla Camera, Graziano Delrio, ha chiesto al premier di ripensare, in vista di prossimo provvedimenti, al veicolo normativo da adottare. “Finita questa prima fase, in cui ci siamo tutti adeguati a ritmi che richiedevano decisioni urgenti, bisogna che ci sia più concertazione e più coinvolgimento del Parlamento”, dice Delrio mettendo nero su bianco la linea del partito. A far scattare l'allarme per i dem, viene riferito, è stato soprattutto il richiamo della presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia: "La Costituzione non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali".
Un monito perché, anche nell'iter di formazione delle leggi, si possa tornare al normale rapporto tra poteri dello Stato. "Ci ha dato una bella sveglia", scherza un dirigente dem di primo piano rimarcando, allo stesso tempo che "il Pd ha sostenuto l'utilizzo dei Dpcm nel momento peggiore della pandemia perchè era l'unico strumento normativo in grado di rispondere velocemente" ad una emergenza che dispiegava i suoi effetti con uguale velocità.
I malumori dei gruppi parlamentari
C'era, un mese fa, l'esigenza di mettere in sicurezza il sistema sanitario nazionale messo a dura prova dai ricoveri in terapia intensiva. "Non si è sbagliato prima, ma ora attenzione a non perseverare", conferma un senatore dem. "E' chiaro, anche prima nel Pd c'era chi storceva il naso, ma non lo si dichiarava per senso di responsabilità".
Più che la critica all'uso del Dpcm, il malumore che serpeggia tra i Pd è per la gestione dei provvedimenti da parte del governo, "per come essi sono comunicati e, quindi, per la percezione che ne ha l'opinione pubblica", viene sottolineato anche oggi. La conferenza del presidente del Consiglio di domenica scorsa è stata l'ultima goccia.
Le rimostranze della Conferenza episcopale sul passaggio riguardante le chiese e la confusione sul concetto di "affetti stabili" hanno disorientato anche tra la compagine governativa del Pd che cerca in tutti i modi di rassicurare i gruppi parlamentari. Perché sono gli eletti a pagare il prezzo politico più alto di quella che chiamano la "vaghezza" del governo: "Sono loro", spiega una fonte Pd, "a dover rispondere alle categorie economiche e produttive in difficoltà".