Davanti alla catastrofe della pandemia, il dopoguerra viene evocato da molti come esempio di una difficile ma possibile ripartenza, di una collettiva riscossa. Ma il paragone non convince Emanuele Macaluso, e lo dice con la sua tagliente immediatezza: “Tra la situazione di oggi e il dopoguerra non vedo similitudini. Allora c’era speranza, oggi no”.
Il dopoguerra Macaluso lo visse con la forza della gioventù, con animo di partecipazione alla rinascita del Paese: “Il mio primo lavoro a vent’anni era quello di levare le macerie da una scuola che era stata annientata. C’era stata la liberazione, la guerra finiva, e si sapeva perché c’era stata, perché il fascismo l’aveva scatenata, e perché finiva. Oggi non si sa nulla. Oggi sembra che non ci sia un perché”, ragiona Macaluso in una conversazione con l’AGI.
Lo storico dirigente del Pci, parlamentare per sette legislature fino al 1992, nei suoi 96 anni di memoria non trova nulla di comparabile alla crisi del coronavirus che sta sconvolgendo il mondo. A differenza del dopoguerra, afferma, “questa è una tragedia che si vive individualmente oltre che collettivamente. Il dopoguerra era pieno di speranza, c’erano i grandi partiti, i sindacati, il popolo si organizzava per dare soluzione ai problemi, ci fu uno spirito di iniziativa comune per la ricostruzione. Oggi è diverso”.
E’ diversa anche la fame, che comincia a proiettare la sua ombra grama con i primi segni di sofferenza, di esasperazione, degli abitanti di una grande città del Sud come Palermo, dove gli affamati non più in grado di comprarsi da mangiare hanno razziato un grande supermercato. Il Papa oggi ha detto che questo è l’inizio del dopo. E Macaluso è d’accordo. “Non sono credente, ma questo Papa ha il dato il senso di cosa veramente il nostro Paese sta vivendo. L’immagine del Papa in una piazza San Pietro deserta diceva tutto della tragedia che il Paese sta attraversando”. E qui Macaluso riprende a parlare della fame.
“Nel dopoguerra – ricorda – c’era l’assalto ai magazzini dell’esercito. La la gente andava a prendersi olio, formaggio, scatolette. Oggi la fame porta disperazione. Bisogna stare molto attenti”, ammonisce. Nella Palermo di quei giorni, era il 19 ottobre del 1944, l’esercito sparò contro la folla che chiedeva cibo e lavoro. Fu la “strage del pane”: 24 persone caddero uccise sul selciato di via Maqueda, davanti alla sede della Prefettura, e si contarono 158 feriti. “Una cosa barbara e simbolica”, scandisce Macaluso. “Nel nostro Paese – continua - le stragi di poveri, di lavoratori, sono state all’ordine del giorno. Oggi non credo che ci siano le condizioni perché si verifichino queste cose, c’è una maggiore maturità e le istituzioni non sono quelle ereditate dal fascismo. Ma si tratta di vedere se le istituzioni, chi ha comunque e dovunque una responsabilità, sapranno capire la situazione che stiamo vivendo”.
Il lucido scetticismo di Macaluso sulla capacità di risposta della politica si estende anche l’Europa. “Sono stato sempre europeista, ma oggi, purtroppo, non vedo le condizioni per cui l’Europa abbia uno scatto. Io non dispero, ma a questo punto per l’Europa è essere o non essere. Penso però che non ci siano forza e capacità per arrivare a una solidarietà. Qualcosa si vede. Per esempio, la Germania ha ospitato malati italiani. Ecco, ci deve essere mutualità non solo dei popoli ma dei governi”.
Il problema, secondo Macaluso, non è tanto nell’assenza di leader ma nell’assenza di organizzazioni di massa: “Mancano i grandi partiti, le grandi forze che rappresentavano gran parte del popolo, il Pci, il Psi, la Dc. Oggi le forze politiche sono fragili, non hanno una vera dimensione popolare. Ci vorrebbero grandi partiti, perché quando ci sono grandi partiti ci sono grandi leader”.
La preoccupazione maggiore è per l’economia. “Si porranno questioni terribili. Il commercio è spento, le fabbriche sono chiuse, anche giustamente per proteggere gli operai. In quale stato di prostrazione si troverà l’economia?”, si chiede Macaluso, convinto che per la ripresa ci vorrà ancora tempo. “Renzi propone di riaprire prima di Pasqua? Le solite chiacchiere. Tutti vogliono riaprire, imprenditori e lavoratori, ma questo dipende dalla condizioni. Io ho fiducia nel sindacato e negli imprenditori che hanno costruito qualcosa che non vogliono perdere. L’iniziativa per la ripresa sarà delle masse lavoratrici, dei sindacati e degli imprenditori”.