“Sono assolutamente stupito di questa affermazione del presidente Conte. Francamente spero non sia vera. Noi ci siamo mossi sempre esclusivamente sulla base delle indicazioni definite dal ministero e dal Consiglio superiore della Sanità”. Replica così al premier che sostiene che “c’è stata una falla nella prevenzione della sanità lombarda” l’avvocato Giulio Gallera, di sicuro l’assessore alla Sanità più famoso d’Italia e al tempo stesso anche quello più a rischio di fonte all’emergenza del coronavirus, in un intervista a La Stampa.
Gallera aggiunge anche: “Vorrei ricordare invece che il nostro sistema sanitario, in meno di tre ore giovedì sera, dalle 21, momento in cui è scattato l’allarme, ha individuato il supposto paziente zero. E per farlo abbiamo dovuto risalire almeno 200 contatti diretti che sono stati tutti sottoposti a controlli e abbiamo preso in carico 172 persone”, per poi chiosare così: “Ora se questo al governo sembra una falla...”.
All’assessore lombardo alla Sanità questa reazione è sembrata invece “una reazione straordinaria”, per altro “riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal presidente Mattarella”. Perciò Gallera non si spiega “quale film abbiano visto d a Roma, forse le falle sono da altre parti” mentre semmai “qualcuno ci dovrebbe dire come mai a diverse persone è stato consentito di arrivare nel nostro Paese senza controlli di alcun genere”.
Al quotidiano che obietta che tuttavia la sensazione è che non ci fosse tutta questa preparazione nemmeno nell’efficientissima Lombardia, specie nell’approvvigionamento del materiale di prima necessità, l’assessore replica che “mascherine e tamponi ce ne sono: abbiamo ovviamente rifornito prima di tutto i nostri presidi. Visto che la Lombardia ha 10 milioni di abitanti e 9 milioni si sono precipitati a comprare di tutto, è normale che dopo i primi due giorni si debbano aspettare i nuovi rifornimenti”. E puntualizza: “I tamponi ci sono e ci stiamo approvvigionando ancora. Ne abbiamo fatti oltre 200 in quattro giorni” anche se ora, spiega, “il quadro epidemiologico è cambiato e non si fanno più a tutti indistintamente, ma solo a chi ha dei sintomi precisi”.