Nel dibattito sul “nuovo statalismo” e la necessità di avviare l’era di una nuova Iri che intervenga a fianco delle aziende, sostenendole, Il Sole 24 Ore calcola che con la vecchia Iri la stagione salva imprese costò ben 120 miliardi delle vecchie lire. Ma oggi si torna all’Iri? In un intervista al quotidiano di Confindustria, l’economista Giulio Sapelli sostiene che sì e che “all’estero l’hanno già fatto”. Nel senso che “in tutti i Paesi esiste ancora un’economia mista” e per la precisione “in in quei Paesi in cui c’è un intervento pubblico più deciso si registrano tassi di crescita economica meno bassi”.
Certo, ammette poi il professor Sapelli, “gli enti pubblici di una volta sono quasi tutti scomparsi, ma il sistema economico capitalistico, anche se professa ideologie diverse, ha conservato alcuni strumenti di intervento per sostenere e incentivare le politiche economiche”. “L’unica eccezione è l’Italia”, osserva Sapelli, un Paese che più che liberista è “ordoliberista”, sostiene il professore, che osserva come questo sia un paradosso, “perché l’Iri degli anni ’50 è un modello economico universale, studiato e copiato in tutto il mondo”.
Tuttavia, chiosa, “oggi serve una nuova veste giuridica per promuovere la politica economica e il ruolo dello stato imprenditore”. Perché “in Francia c’è la Caisse des dépôts e la Germania ha la sua cassa depositi” quindi “non c’è bisogno di rifare l’Iri, ma sono state dette molte menzogne sull’Istituto per la Ricostruzione Industriale, una campagna propagandistica con cui è stata liquidata quale fenomeno di corruzione e mala-gestione”.
E se tutte le controllate dell’Iri negli anni ’80 erano in rosso, lo erano “per oneri impropri imposti da una politica che via via sconfinava sempre più nel malgoverno” mentre “oggi – osserva Sapelli –bisogna riformare gli strumenti che abbiamo e la Cassa è lo strumento più idoneo, così come è stata concepita da Giulio Tremonti per sconfiggere l’ordoliberismo”, appunto.
Chiede il quotidiano: ma come si fa in un Paese in cui i politici sono sempre a caccia del consenso e l’ex Ilva della fine degli anni ’70, per esempio, era un serbatoio occupazionale per lo scambio di voti? Per l’economista Sapelli “ci sono due modi” e il primo “è di concepire l’intervento pubblico attraverso enti not-for-profit, come nelle autostrade della Florida”, cioè “un ente che non ha bisogno di cda (basta un officer) e in cui i ricavi - pagati i dipendenti e costi - vanno tutti agli investimenti”. Secondo modo, poi, è “avere una buona governance” perché “non dobbiamo avere una Cdp con una logica di interventi a spezzatini e di natura finanziaria”.
Però, assicura il professor Sapelli, “non bisogna nazionalizzare” perché in ogni caso “si può gestire l’intervento dello stato con la Cdp rifondata e capitali stranieri”. “C'è solo bisogno di una regia pubblica, come a Wimbledon”, ovvero “una direzione di politica economica, alla cui testa non devono esser messi finanzieri ma manager industriali”, chiosa. “L’importante – avverte – è che l’intervento non lo si faccia con il capitale del risparmio postale. Poi, se abbiamo un passato negativo, possiamo anche cambiare”.