Il governo è appeso alle ciminiere di Taranto perché, se chiude Ilva, chiude anche l'esecutivo. Quello che fino a ieri era una ipotesi giornalistica, oggi trova una certificazione nelle parole di un esponente della maggioranza in Parlamento. È il capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio, a sottolineare che "Taranto è il futuro di questo governo e il governo deve giocare tutto su Taranto". parole che suonano anche come un avvertimento agli alleati, a partire da Matteo Renzi e Luigi Di Maio.
Nel Pd l'insofferenza verso il senatore di Rignano, accusato di voler svolgere il doppio ruolo di leader nel governo e forza di opposizione è ai massimi livelli. Le prese di distanza sulla manovra, ultima quella sulle auto aziendali, sono state la classica goccia che fa traboccare il vaso. Tanto che ieri, in una riunione alla Camera, sono stati i ministri dem a esprimere "insofferenza" fino ad avvertire che, di questo passo, la "corda si spezza". Tradotto: il Pd se non si verificheranno le condizioni per lavorare insieme nel governo, è pronto a far saltare il tavolo e andare ad elezioni.
L'insofferenza dei dem per Renzi
Oggi fonti dem tentano di gettare acqua sul fuoco. Non è stata una riunione drammatica, il problema dell'atteggiamento dei nostri alleati si è posto, ma nessuno ha sollevato il tema se sia o meno opportuno continuare nell'esperienza di governo. Zingaretti non aizza il fuoco, in mattinata fa sapere che il governo non rischia su Taranto, ma continua a utilizzare la formula, risultata fatale a più di un esecutivo, "il governo va avanti se fa le cose che gli italiani chiedono".
Proprio per questo Dario Franceschini avanza la proposta di un "nuovo accordo" da siglare con Renzi e Di Maio per rendere più saldo l'esecutivo ed evitare che ciascuno remi per sè. Un patto da siglare prima che la manovra arrivi all'esame delle Camere. Ad accogliere subito la sua proposta un ministro M5s, Federico D'Incà: "Concordo con Franceschini, occorre un patto più forte internamente alla maggioranza. Io vedo una maggioranza stabile e una comunicazione instabile. Non stiamo comunicando bene quello che portiamo avanti".
Il timore dei dem è che su singoli provvedimenti si creino in Parlamento maggioranze trasversali. Un primo segnale è stato dato da Renzi proprio su Ilva, con la presentazione di una mozione di Iv per ripristinare lo scudo penale. Stessa cosa potrebbe accadere su Quota 100 e auto aziendali. Tante 'mine' che rischiano di far deflagrare il governo così come è stato pochi mesi fa per il Conte I con la mozione Tav.
Se salta il tavolo, si va al voto
E se dovesse saltare il tavolo? Nel Pd nessuno se lo augura veramente, nemmeno il segretario che - sulla carta - ne avrebbe tutto da guadagnare. Dal Colle si osserva quanto accade poco più in basso con preoccupazione. Il Capo dello Stato ha fatto più volte filtrare che, nel caso si arrivi alle estreme conseguenze, la strada obbligata sarebbero le elezioni. Rimane da vedere con quale tempistica.
La riforma per il taglio dei parlamentari, se non si riuscissero a raccogliere le firme per il referendum, entrerebbe in vigore il 12 gennaio, ma ha bisogno di altri due mesi per la delega sulla revisione dei collegi elettorali. Sarebbe difficile dunque giustificare lo scioglimento delle Camere prima del 12 marzo, perché bisognerebbe spiegare agli italiani che dovrebbero eleggere di nuovo 945 parlamentari dopo aver varato la legge che li riduce a 600. Un tempo un po' più lungo di quello che traspare dalle dichiarazioni ufficiali, e infatti a taccuini chiusi, sono molti a ritenere che una fine della legislatura subito dopo il varo della manovra potrebbe divenire per certi aspetti un boomerang, anche se nessuno si nasconde che proseguire con le modalità di queste settimane rischia di far precipitare il Pd nei sondaggi.
Sulla carta a trarre beneficio da elezioni anticipate potrebbe essere Nicola Zingaretti che metterebbe la firma sulle liste elettorali e, quindi, sui nuovi gruppi parlamentari. C'è però da considerare che tra la crisi di governo e il voto nazionale potrebbero esserci le urne in Emilia Romagna e, in caso di sconfitta, la permanenza di Zingaretti al Nazareno sarebbe in discussione.
Con la riforma del partito che sarà approvata dall'assemblea del 17 novembre, poi, il congresso diventerà più snello e veloce e l'avvicendamento potrebbe passare anche per le vie ordinarie previste dal nuovo statuto. C'è poi da valutare quali siano le ripercussioni sui consensi ai singoli partiti di maggioranza: far cadere il governo subito dopo la legge di bilancio sarebbe un rospo difficile da ingoiare per gli elettori di Pd, M5s, Italia Viva e Leu.
A trarne vantaggio sarebbero le sole forze di opposizione, Lega in testa: "Di fronte a questo disastro voluto e cercato da M5s, se volete salvare il paese e tirarvi fuori avete un'unica chance di staccare la spina e andare a casa perché il governo politicamente finisce oggi", dice il capogruppo Lega alla Camera, Riccardo Molinari.
E c'è anche la crisi di Alitalia
Al di là delle considerazioni sui beneficiari di un eventuale show down, c'è da considerare l'impatto che una vicenda come Ilva produrrebbe nel Paese, sul suo costo sociale. E all'orizzonte si comincia a scorgere un altro ostacolo potenzialmente letale per Conte e i 'suoi' ministri: la crisi Alitalia entrerà infatti nel vivo con lo scadere del termine ultimo per la presentazione delle manifestazioni di interesse. Da Lufthansa non sono arrivati ancora segnali, domani è atteso un consiglio di amministrazione sui conti della compagnia tedesca e, in quella sede, potrebbero emergere delle novità.