“Alla fine di una complessa settimana per la politica italiana e dopo la formazione dei nuovi gruppi parlamentari di Italia Viva, credo sia giusto e doveroso per me spiegare le ragioni della mia convinta scelta di rimanere nel Partito democratico”. Luca Lotti, renziano doc, già ministro dello Sport nel governo Gentiloni, scrive una lettera a Il Foglio per spiegare non ha seguito Matteo Renzi in Italia viva ed è rimasto nel partito di Nicola Zingaretti. “Il frazionismo – scrive – mina la credibilità in politica”, che è invece “una palestra di vita”, “forse la più spietata, senza dubbio la più bella”.
Siamo di fronte “al conflitto finale – già in atto – tra i fautori del ritorno a una società chiusa (il nazionalismo esasperato e il sovranismo) e chi invece immagina il futuro prossimo come una società aperta e inclusiva”, analizza l’ex ministro nel suo scritto, e pertanto oggi la sfida “si gioca tra il populismo e il riformismo, nella consapevolezza che la parte più difficile tocca a chi ritiene che le giuste istanze popolari cui la politica deve dare risposte debbano necessariamente fare i conti col principio di realtà”.
E dare queste risposte “è il compito, appunto, dei riformisti”. “In Italia, in questo momento storico – seguita l’ex titolare dello Sport italiano – per me la casa dei riformisti non può essere che il Pd” che Lotti definisce “l’unica forza davvero democraticamente contendibile”, in cui fin dalla sua nascita “si confrontano idee diverse ma sempre compatibili nella visione di un progetto comune".
Lotti che rivendica di aver “condiviso tutta l’esperienza renziana” scrive che il Pd “non è mai stato un partito personale, e anche un leader carismatico come Matteo Renzi” anche per chi come lui lo ha sempre sostenuto, fino a “dopo la sconfitta elettorale del 4 marzo”. Dentro Palazzo Chigi c'è stata “una straordinaria stagione politica che ha dato una scossa benefica a una sinistra rimasta troppo ancorata a vecchi schemi novecenteschi, a fronte di un centrodestra che la leadership di Berlusconi aveva saputo riunificare in nome di una modernità spesso apparente ma sicuramente attrattiva”.
Dunque Lotti resta nel Pd, non solo perché “questa è la mia casa” ma anche “ma anche per difendere e non disperdere la nostra storia, per dire con orgoglio che questi anni non possono ridursi al fallimento del 4 marzo, ma che il nostro “turbo-riformismo” ha prodotto tante leggi che hanno reso l’Italia più moderna, efficiente e giusta grazie alle unioni civili, al “Dopo di noi”, alla riforma del processo civile, al Jobs Act, all’Industria 4.0; e potrei citarne molte altre”.
Tutte scelte atti “condivise” senza “rinnegarne nemmeno una” compresa la scelta “di parire a un governo con i Cinque Stelle”. “Il luogo politico di un’autentica componente riformista è solo il Partito democratico”, scrive. Resto nel Pd e non sono “come il cavallo di Troia”, afferma, nonostante le fantasticherie dei giornalisti o le leggende letterarie.
E Lotti subito dopo si chiede “che senso abbia avuto far nascere il nuovo governo e subito dopo uscire dal partito”, tanto da vedere in quest’atto “un vecchio vizio della sinistra italiana affacciarsi pericolosamente, un frazionismo nel nostro campo politico che ne mina la credibilità”, per poi osservare: “E se l’uscita di Renzi è stato un regolamento di conti per rispondere all’improvvido fuoco amico che fece fallire la riforma costituzionale, allora è stata una risposta tardiva, ma non spetta a me fare queste valutazioni”.
Le azioni di renzi e il futuro
Tantopiù di fonte alla domanda che molti gli rivolgono in queste ore, e cioè: “Come fate voi ‘renziani’ a restare in un partito senza Renzi?”. In verità Lotti una spiegazione non se la dà proprio. Ma tra “il passato e il futuro – scrive – io ho scelto il Pd” anche se è “inutile fingere, con l’uscita di Matteo il partito non è più lo stesso, essendosene andato il leader che ne ha contrassegnato la storia degli ultimi anni”.
"Ma ora la sfida appartiene a noi e soprattutto al segretario Zingaretti che in questi giorni ha avuto il compito difficile di mettere insieme una squadra di governo e che da domani avrà il compito ancora più difficile di indicare una strada per il futuro della nostra comunità, per chi resta convintamente dentro di essa, federazione per federazione, circolo per circolo, iscritto per iscritto”.
Per poi aggiungere: “Un partito di massa deve avere l’ambizione di recuperare l’origina - ria vocazione maggioritaria. Come abbiamo scritto nel Manifesto fondativo di Base riformista presentato a Montecatini nel luglio scorso il nostro assetto istituzionale ideale era e resta il maggioritario”, e precisare anche: “Nelle attuali circostanze, e tenendo realisticamente conto dei vincoli derivanti dal patto di governo che abbiamo appena costruito, si può arrivare a quell’obiettivo, che comporta la semplificazione del sistema politico, con il doppio turno o con una legge proporzionale che contenga una soglia di sbarramento ragionevolmente elevata e selettiva. Due strade che hanno entrambe effetti maggioritari e stabilizzanti”.
Ma la strada per Lotti è segnata, non ha scorciatoie, anche perché “una delle cose che ho imparato –conclude nello scrivere la lettera a Il Foglio – è che al passato bisogna dire grazie, ma al futuro dobbiamo dire sì”.