Il Pd incassa lo slittamento ad ottobre del via libera definitivo della riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Già ieri sera il leader pentastellato Luigi Di Maio aveva indicato nel mese di ottobre la dead line per l'ok finale alla riforme. E oggi, complice anche la necessità di completare la squadra di governo con la nomina dei sottosegretari, così da rendere pienamente operative le commissioni e consentire una normale ripresa dei lavori parlamentari, la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha stabilito il calendario dell'Aula della prossima settimana, ma tra i temi all'ordine del giorno non figura la riforma targata M5s.
La prossima riunione, per decidere il calendario trimestrale, si svolgerà verso fine mese: dunque, nessuna accelerazione sul taglio degli eletti. Uno slittamento di qualche settimana che consente al Pd e alla nuova maggioranza giallorossa di confrontarsi sul timing complessivo delle riforme.
Per i dem, infatti, il taglio dei parlamentari necessita di opportuni controbilanciamenti, a partire da una riforma del sistema elettorale in senso proporzionale. Che aiuterebbe anche, è il ragionamento che si fa in queste ore nella maggioranza, a porre un freno a un possibile strapotere in termini di percentuali della destra e della Lega salviniana.
Tanto che lo stesso Matteo Salvini, fiutato quello che qualcuno tra i suoi definisce "trabocchetto", ha già preannunciato battaglia, non escludendo una campagna di mobilitazione per la raccolta delle firme contro il ritorno al proporzionale. Ma, al momento, viene spiegato sia da fonti parlamentari dem che pentastellate, qualsiasi scenario è del tutto prematuro. Insomma, non c'è alcuna fretta.
"Ci sarà tempo per discutere, non c'è nessuna decisione presa", frena possibili fughe in avanti il segretario Nicola Zingaretti, che mette in chiaro: "Sgombro il campo dagli equivoci, noi abbiamo chiesto che con la condivisione del taglio dei parlamentari si apra una discussione sulle garanzie costituzionali". Quanto alle obiezioni sul proporzionale, "dovremo discutere con grande attenzione. Anche se purtroppo non è vero che il maggioritario garantisce stabilità. Io non ho la soluzione finale, però trovo saggio che di fronte al taglio dei parlamentari si apra una riflessione sulla legge elettorale. Ora dovremo decidere verso quale approdo andare".
Sicuramente, viene spiegato, sarà avviato un confronto interno alla maggioranza sull'intero pacchetto riforme (oltre alla legge elettorale si ipotizza anche la riforma dei regolamenti di Camera e Senato, una modifica della platea chiamata a eleggere il Capo dello Stato e magari anche l'introduzione della sfiducia costruttiva). E, solo successivamente, si partirà con l'avvio dell'iter nelle commissioni competenti. Ma non in tempi strettissimi.
Ed infatti, nel Pd si dà per scontato che il via libera finale alla riforma Fraccaro arriverà prima che si entri nel vivo del confronto su una proposta di modifica del sistema elettorale. E non è neanche detto che l'iter parlamentare parta dal Senato, come qualcuno tra i giallorossi ipotizzava nelle scorse ore. "È prematuro parlarne ora", spiega una fonte dem che si occupa della materia. Anche perché, nel Pd le sensibilità e posizioni sul tema sono diverse. E c'è chi tra i dem mal digerisce l'idea di tornare a un sistema proporzionale puro, pur se corretto da una soglia di sbarramento (si ipotizza il 4%).
Insomma, il tema rischia di creare tensioni interne, proprio nei giorni del battesimo del governo e in vista di una fase delicata in cui la nuova maggioranza dovrà mettere mano a una manovra che non si preannuncia semplice. Evitare in questo momento inutili tensioni è, quindi, la parola d'ordine che circola tra i parlamentari Pd.
Inoltre, ad accrescere i dubbi interni al partito del Nazareno c'è anche la contrarietà dei padri nobili del Pd. "Io dico che il Paese si regge solo nella continuità che può dare il maggioritario", sostiene ad esempio Romano Prodi. "L'Italia ha bisogno del maggioritario per avere continuità di governo", è la convinzione dell'ex premier.
Sulla stessa linea il primo segretario del Pd, Walter Veltroni, che ieri spiegava: "Si sono fatte tutte le leggi elettorali pensando che convenissero a chi le faceva. Io continuo a rimanere dell'idea che questo paese ha bisogno di governabilità, la democrazia ha bisogno di governabilità. Se torniamo al proporzionale sarà il festival della frammentazione, dei governi fatti senza nessun potere dei cittadini, del potere di ricatto di piccoli partiti del 4 o del 5%".
Che i renziani siano favorevoli e spingano per una riforma elettorale proporzionale non è un mistero. Il varo del nuovo sistema di voto imprimerebbe anche un'accelerazione al progetto di un movimento renziano fuori dal Pd (pur se "consensuale") che si sostanzierebbe innanzitutto con la formazione di un gruppo autonomo alla Camera e una componente del Misto al Senato.
Dunque, che il punto di approdo finale sia il proporzionale è indubbio. "Si va verso una legge elettorale proporzionale. Vedremo con quali correttivi", spiegava oggi alla stampa estera il capogruppo dem a palazzo Madama Andrea Marcucci. Nettamente contraria al proporzionale Giorgia Meloni che invoca l'intervento di Mattarella affinchè eviti "questo scempio".