C’è una cosa che gli industriali italiani si aspettano dal nuovo governo: “Una parola chiara sul fatto che lavoro e impresa costituiscono una risorsa di questo Paese, da preservare e rilanciare. Deve dire come intende sostenerli, con quali misure, con quali modalità, con quali tempi” come racconta a La Stampa nell’edizione in edicola che lo intervista, il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti.
Fatti non parole, dunque. Nessuna “cambiale in bianco”, dunque. Tanto più che si tratta, sottolinea Bonometti, di un “governo formato da due forze politiche che finora non hanno mai condiviso alcun progetto comune. Vedere per credere e aspettare per vedere, il motto. Vige lo scetticismo. Anche se non c’è alcuna “nostalgia per quell’esecutivo, che non ha fatto nulla di buono per le imprese e, in alcuni casi, ha peggiorato la situazione”.
Casomai oggi gli industriali sono preoccupati per il fatto “che il presidente del Consiglio sia lo stesso che, dicendo di voler sostenere la crescita, ha avallato provvedimenti come decreto dignità, reddito di cittadinanza e quota 100” con il risultato che sono 5 mesi che la produzione in Italia è ferma, gli investimenti sono bloccati, la cassa integrazione dilaga”. Ma Conte non era lo stesso premier che parlava di un “anno bellissimo”? Allora “diceva bugie” chiosa.
Come si può riscattare il premier, allora? Per il capo di Confindustria lombarda “seguendo gli obiettivi della competitività, della crescita e della riduzione del debito”. E poi riaprendo i cantieri “già autorizzati e finanziati: valgono 30 miliardi, un punto di Pil all’anno per 3 anni”.
Occorre poi investire in infrastrutture e grandi opere, incentivare gli investimenti in macchinari e nuove tecnologie, “rilanciare Industria 4.0, investire sulla sicurezza, tagliare il cuneo fiscale e mettere così più soldi in tasca ai lavoratori...”. E sul salario minimo? “È l’esempio di un provvedimento fatto per penalizzare le imprese, già gravate da pesanti svantaggi competitivi rispetto ai concorrenti europei: ci costerebbe 6,5 miliardi” dice.
Quel che andrebbe invece fatto, aggiunge, sarebbe “prima tagliare a poche decine gli 800 contratti che ci sono, quindi prevedere un livello minimo sul 40% del salario e basare l’altro 60% sulla contrattazione aziendale, in base a produttività e merito”. “Giudicheremo da fatti”.