Roma-Parigi-Washington. Una triangolazione da capogiro. Dialogo con l’Europa o con l’America trumpiana? Ma poi, Cina e Russia che posto hanno e avranno? Qual è l’asse? C’è un po’ di schizofrenia nella odierna politica estera italiana, stretta tra i tempi in cui deve essere consegnata “la lettera” a Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione e il viaggio a Washington del vicepremier leghista. Mentre il titolare di Palazzo Chigi appare “spiazzato e isolato” a Parigi, come sottolinea l’edizione cartacea de la Repubblica a partire dalla prima pagina, ma allo stesso tempo il presidente del Consiglio “va a cena con i cinesi e i 5S fanno promesse a Mosca” come rileva La Stampa nelle pagine interne.
“Salvini agli ordini di Trump” è l’apertura de Il Fatto Quotidiano mentre per la Repubblica si tratta de “L’amicone americano” e anche secondo La Stampa “Salvini si piega all’agenda Trump”. Ma “nel suo sforzo di accreditamento presso l’Amministrazione statunitense, Matteo Salvini si è spinto a sostenere che esistono ‘visioni e soluzioni comuni’ su Iran, Medio Oriente, Cina, Libia.
E per proporsi come ‘partner europeo più importante’ per gli Usa, ha martellato di nuovo contro "l’asse Berlino-Parigi-Bruxelles", additato come causa di "disoccupazione e precarietà". In più, è tornato a criticare gli accordi firmati dal governo italiano con Pechino. È un modo per far capire, all’estero e in Italia, che il vero padrone dell’agenda di Palazzo Chigi è lui, dopo le Europee del 26 maggio scorso” commenta Massimo Franco sul Corriere della Sera.
La conseguenza è un esecutivo diviso o comunque confuso sulle strategie internazionali. Conte ieri ha negato “discrepanze” in politica estera ribadendo che la nostra fedeltà euroatlantica è “confermata”. Eppure, quanto detto da Salvini stride con le parole del premier, reduce da un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron.
Giuseppe Conte ha sostenuto di avere trovato un Macron “attento alle ragioni dell’Italia” e “alle istanze di stabilità sociale, non solo finanziaria”. Insomma, un interlocutore accreditato con cui trovare sintonie e sinergie, “a cui però non ha potuto nemmeno stringere la mano nonostante le parole di amicizia riservate al presidente francese” come rileva la Repubblica.
“Ma qual è “la sintesi” tra la visione del premier e quella del vicepremier leghista? Una rappresentazione plastica la offre la corrispondenza da Parigi del quotidiano diretto da Carlo Verdelli: “Da un lato, il presidente Emmanuel Macron che arriva a bordo dell’Airbus militare A330, assiste allo spettacolo della Patrouille de France, le frecce tricolori, e poi benedice il prototipo del nuovo caccia militare Next Generation Fighter, finanziato da Francia, Germania e Spagna, simbolo di una nuova ‘sovranità europea’ in materia di Difesa da cui il nostro Paese è assente. E dall’altro, il premier italiano che viene snobbato dal leader francese, è costretto mentre visita lo stand Leonardo e quello dall’Agenzia spaziale italiana a parare i colpi che arrivano dal vicepremier Matteo Salvini in trasferta a Washington e cerca di prendere tempo fino a mercoledì per la risposta a Bruxelles sulla procedura d’infrazione”.
Però, proprio mentre Salvini si trova a Washington per rassicurare l’alleato americano che il governo di Roma non sposterà il tradizionale asse atlantico della nostra geopolitica, ieri – osserva La Stampa – altri due eventi “sembravano offrire una fotografia diversa, circa gli orientamenti del governo italiano”. Ovvero?
Il primo è che Giuseppe Conte, dopo il salto a Parigi, “era a Milano alla cena di gala al Principe di Savoia per l’anteprima del nuovo rapporto della Fondazione Italia-Cina, presenti tra gli altri il nuovo ambasciatore cinese in Italia Li Junhua e 200 tra soci e consiglieri della Fondazione, istituzioni, imprenditori e vertici di importanti aziende italiane e cinesi”.
Il secondo evento “avviene invece sottotraccia” perché ieri l’altro è partita da Roma per Mosca, dove resterà tre giorni, una delegazione parlamentare italiana, “dominata da due grillini, Vito Petrocelli (uomo assai filoputiniano, che per il M5S si è esposto in dure posizioni antiamericane su Iran e Venezuela, e ha già discusso il protocollo con Konstantin Kosachev, uomo vicino a Putin) e Gianluca Ferrara, e un senatore dell’opposizione (il forzista Enrico Aimi)”.
La delegazione è infatti impegnata in un “viaggio ufficiale di incontro tra la commissione esteri del Senato e la commissione esteri della camera alta del Parlamento russo, per firmare un protocollo di cooperazione con la Russia su lotta al terrorismo e Medio Oriente”.
Questo intreccio fa scrivere sulle stesse colonne a Gianni Riotta che “è in voga da noi invece, anche tra analisti veterani, una sorta di goliardico revanchismo nazionale, che propone di atteggiarci da free lance tra Usa, Cina, Russia, volta a volta offrendo intese e servigi a seconda dei contratti da firmare, dimenticando i valori iscritti nella nostra Costituzione e i patti antichi di alleanza. È una linea che si illude di essere ‘realistica’ ed è invece ingenua e dilettantesca, non abbiamo né la stazza, né il network necessario a ‘far da soli’”.
Sul Sole 24 Ore, Lina Palmerini analizza il risvolto tutto “interno” dell’attuale visita americana di Salvini, perché “quanto più il leader leghista si avvicinerà alle posizioni americane, tanto più emergerà la distanza con quelle da loro sostenute”. Vale la pena ricordarne alcune, osserva l’analista politica del quotidiano di Confindustria: “Dagli F35 allo schieramento pro Nicolas Maduro, dalla firma del memorandum con la Cina – su cui Salvini si è mostrato freddo – fino alle posizioni filo palestinesi di una parte dei grillini”.
Insomma, si tratta di “tanti dossier su cui è cresciuta la diffidenza americana nei loro confronti mentre Salvini sta provando un’operazione inversa cercando di conquistarsi una patente di affidabilità per recuperare sulla linea pro-Putin che pesa nelle relazioni con il nostro principale alleato”. Dunque più Salvini userà un registro accattivante per Washington, più allargherà la forbice con i 5 Stelle “e questo è un primo elemento di preoccupazione per gli effetti interni anche perché serpeggia il sospetto, in alcuni ambienti grillini, che gli americani possano preferire un Esecutivo monocolore di centro-destra”.
L’analisi del Sole trova un risconto anche in quello de la Repubblica, dove Stefano Folli scrive che “del suo viaggio americano, a Salvini interessava soprattutto un aspetto: il ritorno”. Ovvero, del poter rientrare a casa “con l’aureola dell’amico italiano preferito alla Casa Bianca”. Per poter adombrare l’idea che esiste un impasto ideologico “in grado di legare il ‘sovranismo’ di Donald Trump – padre in effetti di tutti i sovranismi occidentali – al ‘leghismo’ nostrano, in nome ad esempio del taglio delle tasse”.
Resta tuttavia un interrogativo di base: quante lingue parla la politica estera italiana?