Articolo aggiornato alle ore 11,15 del 15 giugno 2019*
Nella bufera che ha sconvolto il Csm, tra presunte toghe sporche e nomine di giudici decise in combutta con la politica, è finito in queste ore anche Luca Lotti, l’ex ministro dello Sport che ieri s’è autosospeso. Senza però riuscire a evitare un grosso sconquasso nel partito guidato da Luca Zingaretti. Sconquasso che oggi riempie molte pagine di giornale.
L'ex ministro e braccio destro di Matteo Renzi chiede, rivolto ad alcuni compagni di partito: “Quanti di loro si sono occupati di magistrati?” Ce l'ha col tesoriere Luigi Zanda, che gli aveva chiesto di lasciare. Ma il punto principale non è questo: il punto è che Lotti vantava sul Csm e per conto di questo organo interlocuzioni con il Quirinale che non aveva.
Proprio così, Lotti ha tirato in ballo direttamente anche il presidente Mattarella, sostenendo di aver avuto un colloquio al Quirinale con il capo dello Stato in merito alle nomine. Notizia che ieri il Colle ha seccamente smentito con una nota: “Si tratta di millanterie”. I testi delle intercettazioni si possono leggere ampiamente e dettagliatamente sul Corriere della Sera, ma anche su La Stampa e la Repubblica. "Quello che vi devo dire io Mattarella... io ci sono andato e ho detto: 'presidente la situazione è questa' e gli ho detto quello che voi mi avete detto più o meno...", si legge nel verbale dell'intercettazione. Lotti sostiene anche di aver discusso delle nomine al ruolo di consigliere giuridico della presidenza della Repubblica, un incarico poi assegnato a Stefano Erbani al posto di Ernesto Lupo, andato in pensione.
Anche Lotti smentisce*
"Anche oggi i principali quotidiani pubblicano intercettazioni senza che nessuno si chieda se sia lecito oppure no. Alcuni giornali poi - utilizzando una frase di Palamara, non mia - provano a raccontare un mio interessamento sulla vicenda Consip: come si capisce bene leggendo, niente di tutto questo è vero". Lo scrive in una nota il deputato Luca Lotti. Che aggiunge: "Ancora una volta la verità viene presentata in altro modo e si conferma quanto ho già detto due giorni fa. Peraltro, alcune frasi che mi vengono attribuite non sono assolutamente riferite al vicepresidente del Csm David Ermini. Su questo, come su altro, in tanti saranno chiamati a risponderne nelle sedi opportune. Infine appaiono totalmente fuorvianti alcune frasi e ricostruzioni legate al Presidente della Repubblica", aggiunge Lotti. "Come è oggettivamente evidente dalle stesse intercettazioni io non ho commesso alcun reato, pressione o forzatura. Per il resto, ieri mi sono autosospeso dal Pd in attesa che la situazione si chiarisca. Non c'è altro da aggiungere, se non che una verità sarà sempre più forte di mille bugie".
Zingaretti, già ieri, aveva ringraziato Lotti “per un gesto non scontato di grande responsabilità” (l'autosospensione), per poi sentirsi dire dal presidente dei senatori dem, Andrea Marcucci, area renziana: “Il Pd deve chiarirsi su un principio fondativo, il garantismo non può essere usato a fasi alterne, o a seconda delle aree politiche. Saranno in molti che dovranno scusarsi con Lotti” (frase riportata da alcuni giornali).
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E così “il giorno dei veleni – scrive la Repubblica nella sua versione di carta - si chiude con un botta e risposta via Twitter: "Lotti – scrive Carlo Calenda - non ha commesso alcun reato, ha sbagliato ad occuparsi di nomine di una procura dove è indagato. Ora ha fatto ciò che doveva". Un utente gli chiede conto del governatore della Puglia Emiliano, indagato: "Non c’è alcuna evidenza di un comportamento ma solo indagine tutta da dimostrare. Allo stesso modo ero contrario a dimissioni di Lotti sul caso Consip". Gli risponde Lotti: "Sono certo che diresti la stessa cosa se dovesse emergere che altri nel Pd hanno ‘messo bocca’ sulle nomine di magistrati".
Insomma, non tira una bella aria a via del Nazareno. “Il coinvolgimento di Luca Lotti nell’affaire Csm, evidenziato da Luigi Zanda, ha fatto deflagrare una guerra intestina che ha mandato a monte tutti i piani e gli auspici del segretario per dare una prospettiva unitaria al partito. Dove ormai è guerra di tutti contro tutti”, scrive Il Fatto Quotidiano, che attribuisce al segretario Pd di aver ipotizzato, fino a qualche giorno fa, “un posto in segreteria” per Lotti. E sempre sulle stesse colonne, il filosofo Massimo Cacciari, in un’intervista, manda a dire a Zingaretti che avrebbe dovuto “muoversi prima e dire no agli intrallazzatori”. Per aggiungere un giudizio tagliente: “Con questa faccenda siamo tornati ai livelli di Berlusconi”.
Mentre la Repubblica riferisce di un confronto diretto Carofiglio-Zingaretti, ieri al centro commerciale I Granai di Roma, in cui lo scrittore sprona il segretario, avvertendolo che l’autosospensione di Lotti “è una beffa”. “Autosospendersi non significa niente, si danno le dimissioni e si esce da un partito. Autosospendersi è prendere per… il naso”.
E se Marcello Sorgi su La Stampa vede in corso “una guerra di correnti per condizionare il segretario”, sulle stesse colonne un’altra analisi “(Se proprio uno volesse essere cattivo…”) prende le mosse da un paragone con il partito che fu di Enrico Berlinguer nel giorno della morte, 11 giugno 1984, per dire “che 35 anni sono una vita e che ogni confronto è impossibile, perché l’etica pubblica non è più quel che fu (se mai fu...). Ma per esser veramente cattivi, basta partire da qui, dalla foto che il 17 marzo immortala Nicola Zingaretti sorridente nel giorno dell’elezione alla guida del Pd, e da alcuni video mandati in onda dai tg”. Per aggiungere: “Non è stato fortunato, il neosegretario. È vero. Ma non è stato nemmeno pronto, tra troppi attendismi e zig-zag”.
In un retroscena sul quotidiano diretto da Carlo Verdelli si può leggere che “Il segretario vuole evitare in ogni modo di offrire una sponda ai renziani desiderosi di andarsene, insofferenti per la linea schiacciata a sinistra, in cerca di un posto al sole col timore di non essere ricandidati. Perché la corrente di Lotti che si chiama Base riformista controlla anche tanti pezzi del partito sul territorio”.
La vicenda è appena agli inizi, sostiene Massimo Franco sulle colonne del quotidiano di via Solferino, “e non se ne intravede ancora la ricaduta finale: soprattutto politicamente”. “Il partito che appare in maggiore imbarazzo è il Pd", scrive. "Il coinvolgimento, sebbene solo sul piano politico, di alcuni suoi esponenti, sta facendo riemergere schieramenti e faide interni che la segreteria di Nicola Zingaretti aveva in qualche misura diplomatizzato. Lo scontro tra vecchia e nuova gestione del Pd riemerge, approfittando delle frequentazioni tra politici e magistrati per orientare le nomine in alcune Procure-chiave. La vicenda rischia di essere utilizzata per regolare conti aperti, nonostante una cautela e un imbarazzo diffusi”. La confusione è totale, il clima assai teso.