“In un’operazione di questa portata, dove sono in gioco centinaia di migliaia di posti di lavoro, più di 30 miliardi di euro di capitalizzazione di Borsa, tecnologie di avanguardia, non possiamo permetterci il lusso di avere qualcuno che non è pienamente convinto. Se alcuni partner esprimono delle reticenze, si può star certi che il progetto fallirà” è il cuore della spiegazione data della doppia intervista-fotocopia a Corriere e Repubblica, tradotta dal parigino Le Figaro, al ministro dell’Economia francese Bruno Le Marie sulla mancata fusione Fca-Renault.
Ma al di là dei tecnicismi, delle alchimie e delle “condizioni politiche”, al netto del tempo necessario per ponderare la scelta e della troppa fretta dimostrata da Fca nel voler concludere l’affare, delle reticenze industriali, delle paure occupazionali ma anche della sfida strategica e del coraggio di sostenerla, come ha spiegato John Ellkan nella lettera ai dipendenti, c’è un grande assente sul banco degli imputati nella trattativa per l’accordo Fca-Renault: il governo italiano. Che non ha proferito verbo. Silente e assente, distratto, in tutte le sue figure rilevanti. Da Conte a Salvini passando per Di Maio.
Ne parlano oggi diversi quotidiani. Per primo la Repubblica, che alla mancata fusione automobilistica dedica l’apertura del giornale (“La grande beffa di Parigi”). In un commento (“Il silenzio dei perdenti”) Massimo Giannini osserva che stupisce come “proprio le forze arrembanti del neo-nazionalismo autarchico e sciovinista, sempre pronte a urlare “prima l’Italia” e a schierarsi comunque “a difesa” (dei confini e della razza, dell’identità e della proprietà) non abbiano trovato le parole per dire ciò che andava detto. E cioè che le nozze tra Fca e Renault sono un passo decisivo e positivo per l’industria automobilistica, che porta la ex Fiat in un’altra dimensione, con oltre 10 milioni di auto prodotte, 600 mila dipendenti, un’apertura sui mercati asiatici”. Per rilevare poi come “nessuno della Trimurti Sovranista abbia trovato il modo di spendere una parola su quello che sarebbe potuto succedere con la fusione del secolo nell’industria dell’auto, e forse ormai non succederà più. Va in fumo un affare da 33 miliardi di euro, e le (Cinque) Stelle stanno a guardare”.
“È ben poco giudizioso l’atteggiamento serpeggiante in Italia di non affrontare il tema” scrive il vicedirettore del Corriere della Sera Daniele Manca. Perché “è innegabile che per Fca si ponga un tema di alleanze che non riesce a stringere. L’elenco è lungo. Alcuni inopportunamente davano la colpa allo scomparso Sergio Marchionne e al suo carattere deciso se non si erano concretizzate intese con la Gm o per la Opel”. Secondo l’editorialista del quotidiano milanese “non si tratta di puntare il dito ma di chiedersi se Fca riuscirà a trovare un partner. Ballare da sola in un mondo di giganti potrebbe non essere così semplice. E la stessa ricerca spasmodica di alleanze ne è la prova” perché “l’intero settore è in piena transizione”.
Perciò questa vicenda “va usata come test della nostra capacità di rispondere a sfide tecnologiche e di mercato. Non bastano, anzi fanno danni, misure improvvisate come quelle del governo italiano sulle agevolazioni alle vetture elettriche e le tasse sui diesel. La domanda che dovremmo porci è: riusciranno le nostre aziende a intercettare quei 255 miliardi di investimenti annunciati entro il 2023 per lo sviluppo del motore elettrico?” Il punto, pertanto, è che “non si può pensare di rispondere solo colpo su colpo alle varie crisi aziendali senza avere un’idea di Paese. Che per l’Italia significa industria, imprese, lavoro, che mai come oggi dovrebbero essere il cuore dell’attività di un governo distratto da tutt’altro”.
“Se Macron è l’unico e vero sovranista di tutta Europa” è il titolo dell’editoriale de Il Giornale firmato da Vittorio Macioce, per il quale il motto del presidente francese è “prima la Francia, sempre, comunque, ovunque. Prima la Francia, nel nome dell’Europa. Prima la Francia, sparlando del libero mercato. Prima la Francia, nel segno della democrazia. Prima la Francia, sotto la bandiera dei diritti umani”. E Macron “lo fa dettando le condizioni, con tutto il peso di uno Stato che interviene a corpo morto sul mercato. La sede operativa del nuovo gruppo deve restare in Francia e il governo deve avere un posto di rilievo nel consiglio di amministrazione. Il concetto è chiaro: la Renault può anche sposarsi con questi italiani d’America con residenza olandese, ma resterà sempre francese. Nessuna sorpresa. È una visione del mondo”. Ovvero, si tratta di una difesa dei confini del proprio Paese fatta “con un cinismo che Salvini non può neppure imitare”.
Ma per Il Foglio, invece, il caso Renault e della “fusione fredda” con Fca non è null’altro che la dimostrazione che “il sovranismo è sempre un pericolo per il business”. In quanto lo stallo negoziale tra Fca e Renault “porta con sé un curioso scambio di ruoli, tra una Francia consapevolmente sovranista e un’Italia imprevedibilmente, e forse inconsapevolmente, liberista”. Tuttavia, osserva ancora il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, “il ‘liberismo’ del governo sarebbe più credibile se lo stesso esecutivo non stesse perseguendo mire di nazionalizzazione o comunque di intervento a gamba tesa sul mercato in un’infinità di casi, che vanno da Alitalia alle stregonerie sull’acqua pubblica, dal parmigiano di stato all’espansione di Cassa depositi e Invitalia che, alla stregua di Blob – il fluido che uccide – stanno penetrando ogni anfratto arbitrariamente definito strategico”. Pertanto, “paradossalmente”, sia Macron sia Di Maio “(e Matteo Salvini) si sono mossi in modo contraddittorio rispetto al proprio orientamento “ideologico” osserva Il Foglio.
L’impressione, secondo Il Sole 24 Ore - nell’editoriale dal titolo “I costi e le ricadute del non decidere” nell’edizione su carta –, “è che in Francia i decisori fossero due: Governo e Stato”. Dove “il primo è un piccolo gruppo coeso di persone con visione chiara e volontà di decidere ma con una delega esecutiva limitata nei poteri e nella durata, mentre lo Stato è organismo più complesso, fatto di pluralità di decisori, parte politici e parte burocrati, con visioni diverse e volontà spesso divergenti, ma accomunati da una cultura nazionale destinata a rimanere oltre e al di sopra del Governo. Il Governo aveva una strategia, lo Stato ha rappresentato la cultura, e come ha insegnato il fondatore della scienza manageriale, Peter Drucker: ‘La cultura si mangia la strategia per colazione’”. Una lezione per l’Italia?
Ma la partita Fca-partner strategici è tutt’altro che conclusa. Secondo il Sole 24 Ore, nel mirino del gruppo italo-americano bisognoso di un alleato internazionale , tornano in pista la coreana Hyundai e la cinese Geely. Ma secondo Il Foglio c’è “la variabile giapponese”, in cui tra le debolezze di Renault e le ambizioni di Fca, Nissan può riaprire i giochi “prendendo un posto di comando” per contare di più.