Quarantottore, o giù di lì, e nel M5S è già partita la fronda. Meglio, il processo a Di Maio, leader sotto accusa, pronto a sottoporsi al giudizio della rete per decidere se proseguire o meno. Il più scatenato è il senatore Gianluigi Paragone, il Torquemada che in un’intervista alla versione cartacea del Corriere della Sera va giù duro e non usa mezzi termini: “Al governo abbiamo fatto cose buone ma abbiamo messo giacca e cravatta. Il politicamente corretto uccide. (…) Se vuoi fare Superman devi dimostrare di esserlo. (…) Ma a 32 anni non puoi fare il capo della prima forza del Paese, il vicepremier, il ministro dello Sviluppo economico e il ministro del Lavoro. (…) Serve un ministro a tempo pieno. (…) Si deve passare alla collegialità. Un gruppo ristretto, 4 o 5 persone che rappresentino tutte le anime”. Di Maio farà un passo indietro? “Lo farà. Decida lui da cosa. Abbiamo bisogno di una leadership forte: deve andare per sottrazione. Il Movimento ha bisogno di un interlocutore che lo ascolti. E non può tenere due ministeri”. Punto.
E lo sfogo di Paragone è anche la summa degli umori contro. Da Fico a Di Battista. Contro l’uomo solo al comando, perché Di Maio ormai impersonifica questo ruolo e quest’immagine dopo la sconfitta elettorale europea di domenica 26 che ha dimezzato il consenso ai 5Stelle redistribuendo 6 milioni di voti tra Lega e Pd. “Una pentola a pressione, con il fuoco vivo sotto.
Il Movimento 5 Stelle rischia di scoppiare, con l’improvvisa ricostituzione di una fitta trama di gruppuscoli interni, un intreccio incandescente di recriminazioni di corrente, divergenze politiche e asti personali. Obiettivo, la leadership di Luigi Di Maio. Che all’assemblea di stasera rischia il processo assieme ai suoi ‘pretoriani’” è questo il clima tra i 5 Stelle per come lo descrive il quotidiano di via Solferino. E non manca chi si dimette da vicecapogruppo al Senato come Primo Di Nicola, tra i più vicini a Di Maio, perché “mettere a disposizione gli incarichi è l’unico modo per favorire una discussione democratica”. Una chiara indicazione al leader.
Così oggi Luigi Di Maio “si prepara ad affrontare i ribelli all’assemblea di deputati e senatori in programma” si legge in un’altra cronaca sempre sulle stesse colonne: “Ai dissidenti si sono unite nuove voci critiche. Pretendono chiarimenti e c’è chi è pronto a chiedere un voto su Rousseau sulla testa del leader (si parla anche di un documento scritto e firmato da diversi parlamentari). Lui, il vicepremier, dopo una riunione in mattinata al Quirinale per fare il punto sui prossimi Cavalieri del lavoro, si chiude nel riserbo”.
Il vicepremier è pronto a lasciare il ministero
Il Giornale parla di leader ormai “commissariato” mentre Il Fatto Quotidiano, spiccate simpatie grilline, scrive di segnali di “impazzimento” del Movimento. E di un Di Maio che “trasforma il Mise in un bunker, dove raduna capigruppo e fedelissimi e medita con loro se offrire le sue dimissioni da capo politico all’assemblea congiunta di stasera” mentre “di sicuro verrà offerta una segreteria politica con cinque membri, anche questa da votare su Rousseau, con cui spartire potere e oneri”. E il quotidiano diretto da Marco Travaglio fa trapelare che “il capo”, Di Mao, arriva persino a proporre: “Magari potrei lasciare il Mise”. Cioè “abbandonare una poltrona, per sedare le proteste. ‘Però questo farebbe il gioco del Carroccio, chiederebbero un rimpasto largo’ gli fanno notare. Allora si vira sull’ipotesi delle dimissioni da capo politico, per ripartire. E sulla segreteria politica”.
La giornata è tutta qui. E per il momento non ci sono altri picchi. Se non che, “nell’attesa, il Carroccio mette tanta paura ai coinquilini chiedendo modifiche al Decreto sulla sanità della Calabria, in Aula a Montecitorio. (…) Mentre dal Senato arrivano voci sul Carroccio che alza il tiro anche sullo Sblocca cantieri: e c’erano stati “problemi” anche nel vertice mattutino a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte e sottosegretari vari. E ovviamente ai piani alti del M5S notano l’assalto” chiosa Il Fatto.