C’è l’Europa ma c’è anche l’Italia. E i titoli delle prime pagine dei quotidiani sono tutti dedicati al fattore interno, al quadro nazionale. Ai partiti e di riflesso al governo. “La Lega vola, il Pd supera il M5S” fotografa e sintetizza il Corriere della Sera. “Governo addio” titola, lapidario, Il Giornale. “Comanda Salvini. Crollo 5 Stelle col soprasso del Pd” entra nel merito, tra cause ed effetto, il Fatto Quotidiano. “Salvini sfonda, Di Maio affonda” ironizza Libero evidenziando nell’occhiello il dato essenziale: “Lega primo partito d’Italia”. “Ombre nere” scrive a caratteri cubitali la Repubblica. “Amen” chiude il manifesto sull’immagine di un Matteo Salvini a mani giunte. E del resto, da quasi tutte le prime pagine l’immagine del leader del Carroccio campeggia mentre ribacia il rosario, in alternativa a quella in cui invece è ritratto mentre esibisce un cartello con su scritto: “1 partito in Italia. Grazie”.
I dati caratterizzanti di questo voto europeo dai forti riflessi interni, nazionali e anche “nazionalisti” è che di fatto l’Europa non si astiene, va a votare anche in maniera più consistente e partecipata e così sale l’affluenza e pure la frammentazione del Parlamento che perde di fatto la sua vecchia maggioranza data dall’asse Ppe-Socialdemocratici. Volano i Verdi e crescono i Liberali mentre il voto spagnolo al Psoe frena la discesa dei socialisti.
Ma le destre vincono in Italia, Francia e Ungheria. Quindi l’incoronato è Salvini, che svetta sopra il 30%, 34 secondo le edizioni online, Forza Italia scende sotto il 10 per cento, i 5Stelle crollano al 18 a vantaggio del Pd che sale al 22. Ma i dati sono ancora parziali, spesso hanno fonti diverse e in qualche caso si confondono ancora tra proiezioni ed exit poll.
Comunque tendenza è in qualche misura segnata. E se guardiamo al dato eminentemente nazionale, “L’Europa ci consegna un’Italia più salviniana e meno grillina; ma forse meno populista e sovranista del previsto, nonostante il grande successo della Lega. E una maggioranza che, con i rapporti di forza invertiti, si profila più fragile. Con lo spoglio quasi terminato non è chiaro se le due formazioni dell’esecutivo raggiungeranno insieme più del 50 per cento” sintetizza sulla prima pagina del Corriere l’editorialista Massimo Franco. Ma è Salvini a esultare e dettare anche la nova agenda di governo, dove d’ora in poi dovranno prevalere i Sì sui No. E l’indirizzo è chiaro. Questo porterà anche a un riequilibrio dei rapporti di forza dentro al governo?
Alla domanda risponde sin dal titolo il commento di Stefano Folli su la Repubblica, “Il governo ribaltato”, e dove si può leggere che “ci si attendeva che le elezioni cambiassero la geografia politica italiana, sullo sfondo di un’Europa in subbuglio, e così è stato. Come si dice in questi casi, nulla sarà più come prima. La vittoria della Lega ben oltre il 30 per cento, unita al crollo del M5S crea un distacco di circa 12 punti tra i due partiti della coalizione. Non è la sola novità, ma è la più esplosiva, considerate le conseguenze sulla stabilità del governo Conte”. E il paradosso di queste elezioni “è che rinasce dalle ceneri la vecchia coalizione tra Carroccio, Forza Italia e FdI. Una formula che negli ultimi anni sembrava estinta” scrive Claudio Tito nel commento “Il Capitano al bivio”.
Su La Stampa, versione cartacea, Marcello Sorgi dichiara “Salvini il grande vincitori delle elezioni europee in Italia” ma si chiede anche il perché allora “in molti dei primissimi commenti della notte elettorale, specialmente televisiva, “s’è affacciata la versione di un risultato non così soddisfacente per Salvini, del ‘poteva fare di più’, o ‘si aspettava di più’, ‘puntava al 40 per cento, come Renzi’, e così via, in aperta contraddizione con la soddisfazione espressa legittimamente dal vincitore?”.
Che, peraltro, “ha quintuplicato i voti della Lega rispetto alle stesse consultazioni del 2014, quasi raddoppiato rispetto all’anno scorso, ulteriormente ridimensionato l’ex leader del centrodestra Berlusconi, e trovato un potenziale e più consistente alleato nella Meloni e i suoi Fratelli d’Italia, dati a rischio di finire segati dallo sbarramento del 4 per cento e invece abbondantemente al di sopra” dopo aver “capovolto i rapporti di forza con l’alleato avversario Di Maio, che si lecca le ferite di un terzo dei consensi perduti”.
La risposta di Sorgi è. “Un po’ perché, si sa, l’invidia è dura a morire, e sebbene amato dai suoi elettori, Salvini è sempre stato inviso a gran parte dell’establishment, quello istituzionale con il quale, a differenza di Di Maio che lo ha fatto a intermittenza, non ha mai o quasi mai cercato un rapporto, e quello della sua stessa parte politica, per non dire di un pezzo importante del partito nordista, espressione delle radici della vecchia Lega e dubbioso sull’espansione a livello nazionale di quella nuova”.
Ciò che fa scrivere ad Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, che “più o meno, è andata com’era stato anticipato dai sondaggi pre elezione e le urne confermano per l’ennesima volta che l’unica maggioranza politica e non artificiale possibile in Italia è quella del vecchio centrodestra, sia pure con la non trascurabile novità, e conferma, di una guida leghista. Lo sconfitto principe è Luigi Di Maio, il professorino che annunciò dal balcone di avere cancellato la povertà e che annunciò un boom economico per il 2019 lascia sul campo in un solo anno oltre quattro milioni di voti. Matteo Salvini ne deve prendere atto, perché non sta in piedi che quello che nel Paese reale è oggi il terzo partito - i Cinque Stelle - sia l’azionista di maggioranza in Parlamento e nel Paese”.
E infatti, Libero Quotidiano titola così l’editoriale firmato da Vittorio Feltri, ultrà salviniano: “Segnale clamoroso: Matteo ora deve passare all’incasso”. “La Lega è potente perché tiene fede agli impegni. Alleata del M5S e talvolta costretta a piegarsi ai capricci terroni di Di Maio, è riuscita comunque a tenere la schiena diritta e a non cedere su alcuni punti fondamentali, per esempio la immigrazione incontrollata e la legittima difesa, e ciò non è poco. Mentre i pentastellati col loro reddito di cittadinanza da straccioni e altre bischerate, come la abolizione della prescrizione, si sono rivelati personaggetti abili solo nell’arrampicarsi sugli specchi” è il cuore del suo pensiero.
E adesso per il governo cominciano i guai. Tanto che Alessandro Campi, sul Messaggero, sottolinea che con pesi così ribaltati, la rotta nel governo si fa complicata. Tanto che il quotidiano della capitale dedica un pagina a “Ora come cambia l’agenda” dell’esecutivo dalla Tav, visto che dalle urne è arrivata una spinta “al via libera”, tantopiù che al vertice della Regione Piemonte si è imposto Cirio, candidato di Forza Italia, sul governatore del centrosinistra uscente Chiamparino che non raggiunge il 40 per cento dei consensi, nonostante la linea pro-Tav; quindi sulla manovra, dove si va verso lo scambio tra flat tax e cuneo fiscale; oppure sulla sicurezza, dove è pronto l’ok al decreto bis sui migranti; e poi c’è il Sud in cui la freddezza dei 5Stelle frena l’autonomia mentre Roma diventa un fronte trasversale per affossare la Giunta pentastellata. Infine la giustizia, con l’urgenza di cambiare il processo.
Sul Governo Conte, Marco Travaglio su Il Fatto, scrive che “non aveva alternative ieri e ne ha ancor meno oggi. In questa legislatura. Forse Salvini e la Meloni speravano di spartirsi le spoglie del fu Caimano: crexcono entrambi ma FI sopravvive, sia pur dimagritissima, oltre ogni aspettativa, viste le condizioni del leader e del partito. Quindi delle due l’una: o Salvini fa saltare il banco e si presenta con la Meloni (da soli, supererebbero il fatidico 40% del Rosatellum); o lascia Conte dov’è e pretende un rimpasto e un nuovo Contratto per contare di più, almeno fino a dopo la finanziaria per evitare un nuovo boom dello spread. Sull'altro fronte, i suoi avversari devono guardarsi dall'accelerare la crisi e il voto subito. Sperare che Salvini si logori. E cercare intese parlamentari su leggi utili e popolari, per costruire un'alternativa. Sempre più difficile, sempre più doverosa”.
Ma per Il Foglio, nella sua edizione largamente preconfezionata del lunedì, Salvini viene presentato da Pietrangelo Buttafuoco come il “Sovranista senza sovranità”. Cioè come “un padrone della scena, che non cessa di essere se stesso passando da un’idea all’altra”. Ovvero, “si adatta all’Italia ma ancora non si sa se l’Italia si sta adattando a lui”. Il voto di ieri sembrerebbe smentirlo.