Mr. Spread. E se l’indicatore della salute finanziaria di un Paese, “sensibile alle notizie che arrivano dalla finanza e dal mondo politico”, fosse un soggetto dotato di una propria autonomia, di un suo 'cervello', e non un semplice parametro tecnico? Per chi voterebbe oggi? La Stampa di Torino, nella sua usuale rubrica quotidiana lessicale, eleva lo spread a “parola del giorno”.
Secondo Il Foglio “lo spread ha cambiato l’Italia” tanto da elevare il nostro Paese a “caso di studio per i teorici mondiali della ristrutturazione del debito”. Ma non è un fatto positivo, semmai un bel “guaio”. Tanto che “la sfiducia prodotta dal contratto di governo compie un anno e il vero risultato dei gialloverdi è la fuga dalla credibilità”, analizza il quotidiano diretto da Claudio Cerasa.
Quindi se a causa dell’innalzamento dello spread, che ha raggiunto il tetto dei 292 punti nella differenza con i titoli di Stato tedeschi, “L’Italia è fuori controllo”, questo è un segnale del “fallimento gialloverde” secondo il titolo di apertura de Il Giornale. E che è già costato all’Italia 10 miliardi di euro, “il prezzo delle sparate”. “Si vota in tutti i Paesi d’Europa e in ognuno non mancano polemiche e colpi bassi, ma nessuno di questi è allo sbando come il nostro. Siamo come un bus lanciato che non ha nessuno alla guida e questo la dice lunga sul senso di responsabilità di questa presunta classe dirigente gialloverde. Da mesi non pensano che a se stessi e a chi l’avrà più lungo la sera delle elezioni, tutto il resto non conta e può aspettare” scrive il direttore Sallusti.
Ciò induce Il Messaggero a sottolineare le parole del premier Conte secondo il quale “Ora è difficile non toccare l’Iva”. Questo il primo effetto, dunque. Tanto che la Repubblica titola “Sfiduciati dallo spread” dado all’indicatore la patente di soggetto attivo nelle dinamiche della crisi economica e anche politica dell’Italia. Il Sole 24 Ore registra che la quota raggiunta è “per le liti di governo” anche se l’industria registra “più ordini”. E La Stampa mette in diretta connessione l’aria pesante che tira sull’economia e la finanza con “la sparata di Salvini sulla volontà di sforare, oltre che sul deficit, anche sul debito” come recita l’abbrivio di una cronaca del quotidiano sabaudo.
Questa è la fotografia della giornata sulle prime pagine e non dei giornali in edicola oggi. E alla domanda all’interrogativo per chi vota lo spread?, Sergio Rizzo risponde sul quotidiano diretto da Carlo Verdelli che “l’irresponsabilità con cui viene condotta questa campagna elettorale non sfugge agli investitori che assistono a questo spettacolo da fuori”. “E magari hanno comprato i nostri titoli di Stato però adesso li vendono, dopo aver sentito Matteo Salvini dire che si deve sfondare il rapporto del 3% fra deficit e Pil, una delle ‘regole europee che stanno portando precarietà, disoccupazione e povertà’”. A rigor di logica lo spread ha già votato. O, comunque, quantomeno ha dato una sua prima indicazione.
“Qualche analista – sottolinea Dario Di Vico nell’commento di prima pagina del Corriere, “L’economia dimenticata” il titolo – si spinge a ipotizzare che i mercati non abbiano solo voluto reagire alle dichiarazioni del vicepremier ma chiedano anche chiarezza del quadro politico, stufi del populismo a due piazze auspicherebbero quantomeno maggioranze omogenee”. E non così spurie o politicamente centripete. E se ora la responsabilità passa direttamente in carico agli elettori che dovranno “ricomporre con le loro scelte d’urna quella scissione tra economia e politica che rischia di spingerci ai margini dell’Europa”, chi vorrà farlo – sottolinea l’editorialista con uno slogan – “deve infatti saper sommare le inquietudini di Main Street e i timori di Wall Street”.
Tradotto, significa che “la nostra Strada Principale sta nelle preoccupazioni degli italiani per il lavoro o l’emigrazione dei figli, nelle incerte prospettive delle imprese che operano sul mercato interno, nel risparmio congelato nei conti correnti e persino nella paura delle tecnologie. La nostra Wall Street rimanda invece ai parametri di Maastricht e al soffocante peso del debito. In Italia purtroppo non c’ è un Partito del Pil capace di connettere queste due istanze, di tradurle in un programma semplice ma coerente”. Ma, osserva ancora Di Vico, “purtroppo (…) le ragioni dell’economia — almeno fino a ieri — sono rimaste fuori dalla campagna elettorale e i giovani leader della comunicazione h24 hanno avuto buon gioco nell’occupare la scena con i lor o litigi, veri o falsi che siano”.
Intanto, nel suo tour di interviste ai quotidiani, il vicepremier pentastellato si ferma oggi alla stazione di via Solferino e sullo spread, nell’edizione cartacea, a domanda risponde di essere “preoccupato per i salari bassi nel nostro Paese. Devono salire gli stipendi degli italiani, anche per questo stiamo lavorando a una legge sul salario minimo che prevede una paga minima di 9 euro lordi l’ora. Poi dico anche che il M5s con il suo 32% non permetterà mai una legge di bilancio che aumenterà il debito pubblico”. Punto. Per il resto, l’intervista è un appello ala Lega a farla finita con “estremismo e modi di casta”. Che, appunto, fanno impennare lo spread. E che la stessa intervista non aiuta però certo a raffreddare.
“Ecco il conto dello spread” scrive Rizzo in chiusura di articolo. E prefigura uno scenario post 26 maggio: “Per quanto ostili all’Unione, pure i governi sovranisti che i nostri immaginano possibili alleati mai e poi mai potrebbero accettare che l’Italia scassi i conti, con gravi ripercussioni su tutta l’eurozona. E un eventuale scontro, portato alle sue estreme conseguenze (impensabile che un governo gialloverde accetti il commissariamento della troika), non potrebbe che avere un esito: il default del debito pubblico e la conseguente uscita dalla moneta unica e dall’Unione. Se qui si vuole arrivare, questa è la via giusta. Perché giocare con lo spread in questo modo è davvero giocare con il fuoco. Oltre che con la nostra vita”. L’instabilità continua. Anche dopo il 26 maggio?