Le acque della Libia sono molto pericolose per la tenuta del governo, e non per una questione di migranti.
Tutto inizia con la notizia, infondata, di un intervento della Marina italiana per soccorrere alcuni pescherecci italiani puntati da motovedette libiche. Sul profilo Twitter del ministero della Difesa, Elisabetta Trenta, si legge poco tempo dopo: "Grazie al coraggio e alla professionalità della marina militare si è evitato il peggio".
Peccato, per l’appunto, che non sia accaduto niente di tutto questo. Il tweet viene rimosso, ma la faccenda non si esaurisce. Nascono voci, le più disparate. Soprattutto, spuntano fonti del Viminale che commentano acidule: "Anziché chiedere alla 'sua' Marina Militare, il ministro Elisabetta Trenta si basa sulle agenzie di stampa e poi è costretta a rettificare. Non è informata e non approfondisce: preferisce polemizzare col ministro Matteo Salvini e a criticare servitori dello Stato come il generale Riccò. Il ministro della Difesa faccia il ministro della Difesa. Le Forze Armate italiane meritano molto di più".
Botta e risposta
È quel “preferisce polemizzare con il ministro Salvini”, formula assai inusuale nel dialogo tra le amministrazioni dello Stato, che lascia immaginare che si tratti di un attacco di un ministro ad un altro ministro, più personale che istituzionale. I due, Trenta e Salvini, da tempo fanno scintille.
A questo punto, ineluttabilmente, arriva la replica della amministrazione della Difesa. Stessa modalità (“fonti del ministero”) ed uguale durezza: “Non ci era mai capitato prima di vedere un ministero, l’istituzione, usata a fini elettorali. In questo caso per attaccare il ministro Trenta. Non c’è molto da commentare, basta avere uno spirito democratico per comprendere la gravità dell’episodio. Dispiace che il Viminale, il cui titolare è Matteo Salvini, piuttosto che occuparsi della sicurezza del Paese, pensi a un tweet. Dispiace per l’Italia”.
Così lo scontro è istituzionalizzato, il divario allargato e il governo indebolito, anche perché i 5 Stelle non ci mettono un attimo a correre in soccorso della loro ministra.
Uno per tutti, Luigi Di Maio. "Capisco la difficoltà della Lega ma non serve che attacchi il ministro della Difesa Trenta per provare a coprire il caso Siri, per coprire il caso Siri basta farlo dimettere", dice.
Aggiunge, il vicepremier: "In un paese normale uno indagato per corruzione si mette in panchina e aspetta che finisca l'inchiesta anche perché si scopre che ha aiutato un imprenditore. Quello che mi fa incazzare di queste cose è che il 99,9% degli imprenditori un politico santo in paradiso non ce l'hanno per farsi una propria legge. Il fatto è grave non per l'inchiesta ma perché c'è sempre qualcuno che si sente santo in paradiso per favorire un 'prenditore'".
Al netto del linguaggio, addio giornata della distensione sul caso del sottosegretario Siri, cin tutto che Conte aveva esordito in mattinata promettendo che in Consiglio dei Ministri non sarebbe stato usato il pallottoliere per deciderne il futuro.
Le notizie che danno il Governo a un passo dalla crisi per la vicenda che vede coinvolto il sottosegretario Armando Siri sono "tutte false", poteva dire Giuseppe Conte ad un certo punto della giornata, ed il leader della Lega, Matteo Salvini, era lì ad esprimere fiducia nel premier. "I giornali sono peggio di Topolino. Non c'è nessuna crisi di governo. Il governo va avanti, se ne facciano una ragione tutti quanti. A me interessa lavorare e finora abbiamo fatto fatti”.
Poi è arrivato un tweet, e tutto è cambiato.