“Sicilia, il M5s perde le roccaforti. La Lega avanza ma non sfonda” titola il Corriere della Sera a pag. 11. “Le urne in Sicilia frenano il governo. Lega ferma al 10%” mette in pagina La Stampa a pag. 2. “Sicilia, la ritirata dei 5Stelle. Ma il Carroccio non sfonda” scrive a pag. 8 Il Messaggero. Mentre la Repubblica a pag. 10 registra che per le “Comunali, la Lega sbarca in Sicilia e i 5S perdono dove governano”.
Poi a guardare i numeri, nei 34 Comuni dove si doveva eleggere il sindaco, Salvini ne elegge per la prima volta uno e corre per due ballottaggi mentre i grillini sono in gara per Caltanissetta ma cadono a Gela e Bagheria dove prevale un’alleanza Pd-Forza Italia e su 8 grandi centri, 5 vanno in gara per il secondo turno.
Però a ben guardare e leggere sembrerebbe che abbiano vinto tutti, almeno stando all’incipit della cronaca del Corriere della Sera: “Per Luigi Di Maio ‘il Movimento fa grandi risultati a Castelvetrano e Caltanissetta’ e Alfonso Bonafede conferma: ‘Risultati molto positivi’. Per Gabriella Giammanco ‘Forza Italia è l’unico argine al populismo’ e, aggiunge Lucio Malan, ‘senza Fi la Lega non ce la fa’. Il dem Davide Faraone è contento: ‘Buoni risultati’. Giorgia Meloni è soddisfatta: ‘Si conferma la crescita di Fratelli d’Italia’. Matteo Salvini esulta: ‘È un dato che solo pochi anni fa era fantascienza’.
Nella cronaca de La Stampa il risultato della Lega viene letto così: “Nei 34 comuni siciliani dove si eleggeva il sindaco, la Lega ha raccolto mediamente il 10 per cento. Tanto, se si pensa che partiva da zero e una volta da queste parti Salvini sarebbe stato accolto a sassate; ancora poco, tuttavia, per dichiarare l’annessione del Profondo Sud alla Padania. A Salvini interessa soprattutto il bicchiere mezzo pieno: ‘Qualche anno fa sarebbe stata fantascienza’ ha commentato, all’apparenza soddisfatto”.
Ma il cronista sottolinea anche “come mai berlusconiani e ‘Dem’ si siano messi insieme a Gela, è un altro dei misteri tipici della Sicilia, laboratorio di strani esperimenti fin dai tempi del milazzismo (destra e sinistra insieme, fine anni Cinquanta)”. Per aggiungere che “stavolta la formula è quella detta del Nazareno, del famoso patto del 2014 tra il Cavaliere e Matteo Renzi”. “E a spingere i berlusconiani siciliani nelle braccia del Pd (che in questa tornata non è andato peggio, ma nemmeno meglio del solito nonostante a Roma ci sia adesso Nicola Zingaretti) pare sia stata la profonda antipatia per Salvini di Gianfranco Miccichè”.
Il quale, Presidente dell’Assemblea regionale siciliana, al Corriere esprime soddisfazione perché “nell’unico capoluogo di provincia dove si votata stavamo per farcela al primo turno. Al ballottaggio per un pelo. Clamoroso. Forza Italia con le nostre due liste è al 23 per cento, il doppio dei grillini di Giancarlo Cancelleri, nella sua città”. E interrogato sul rilancio del progetto di Partito della Nazione di Renzi o di nuovo Patto del Nazareno, auspica che “sarebbe una cosa da fare”, per aggiungere subito dopo: “Il ritorno di un bisogno a stare insieme dei moderati matura a prescindere dalla mia volontà. Non solo a Gela il laboratorio è aperto da tempo. C’è una parte del Pd con cui ragioniamo. Da tempo. Mentre una parte di Forza Italia pensa di potere andare con la Lega”. E riguardo al Pd Miccichè dialoga semmai più “con l’ex ministro Salvatore Cardinale” che con i renziani che fanno capo a Davide Faraone: “Fase dialogante m non concludente. Parlano, parlano, ma non si concretizza”.
Ma il “laboratorio siculo” è ancora tale per orientare e prospettare gli eventuali, futuri equilibri nazionali? “Se la Sicilia è l’Ohio dello Stivale – scrive Marco Conti su Il Messaggero – i partiti della maggioranza dovrebbero analizzare i dati con qualche preoccupazione. Se è vero che nell’isola gli elettori si preparano agli equilibri nazionali, stavolta l’incerto futuro del governo M5s-Lega ha provocato più di un qualche effetto negativo”. “Per il M5s – prosegue – i risultati sono una debacle pressoché dappertutto (…) la Lega aumenta i voti dappertutto ma non sfonda”.
“La verità – avverte cauto Alessandro Campi, politologo, in un editoriale ancora sulle colonne del quotidiano della Capitale – è che oggi a chi osserva la politica si addicono, più che i panni dello scienziato sociale che opera previsioni a partire dai numeri e dalle serie statistiche, quelli del sensitivo o dell’aruspice, che prova a immaginare il futuro partendo da semplici segnali o labili indizi. Che nel caso siciliano non sono mancati e che proviamo a indicare con l’invito a non trarne conclusioni inutilmente affrettate”. I segnali, dunque, sono “che con una forza media intorno al 20-25% per essere vincente la Lega deve comunque allearsi con gli altri partiti di centrodestra. Che, dispetto di certe previsioni nefaste, continuano a mostrare una discreta vitalità politica” e che “senza la Lega sono infatti andati al ballottaggio a Caltanissetta e a Castelvetrano”. E “dal voto siciliano esce siciliano esce sicuramente confermata la decrescita infelice del M5s da una votazione all’altra”.
“Per trarre delle indicazioni più precise e definite, meglio: definitive, su questa elezione- suggerisce dalle colonne de la Repubblica l’analista politico Ilvo Diamanti -, dovremo attendere le due prossime settimane. Visto che in gran parte delle maggiori città coinvolte si andrà al ballottaggio. Tuttavia, già ora è possibile proporre alcune valutazioni, che vanno oltre il caso siciliano. La prima si riferisce al vantaggio competitivo della Lega, che può agire su diverse possibili formule. E su diversi possibili ‘formati’ politici. Può, cioè, rivendicare la propria differenza e specificità. Correre da sola. Ma, al tempo stesso, può riproporre l’intesa con il centrodestra, con Berlusconi. Insomma, può praticare la ‘politica dei due forni’, di andreottiana memoria. La seconda osservazione, parallela, riguarda le difficoltà imposte al M5s dalla propria identità fondata sulla ‘differenza’. Che rende difficile e complicato agire in coalizione. Con altri. La terza riguarda la ‘nazionalizzazione’ di tutte le principali forze politiche. Ma anche delle competizioni elettorali. Al di là delle specifiche definizioni territoriali. L’ultima, conseguente, evoca il clima di campagna elettorale permanente, in cui procede il nostro Paese. Perché ogni scadenza — locale, regionale, comunale — è concepita, percepita, interpretata in chiave politica generale. Nazionale. Un preludio e una proiezione rispetto a quel che avverrà alle elezioni europee e politiche”.