Sul 'caso Siri' e la sua permanenza al governo deciderà il presidente del Consiglio. Non prima di aver ascoltato e incontrato il sottosegretario leghista. A metterlo in chiaro è il premier Giuseppe Conte in persona, precisando che "si possono prendere decisioni anche senza aspettare che la giustizia faccia il suo corso", ovvero anche "senza che la sentenza sia passata in giudicato".
E, di fatto, Conte fa da sponda alla linea pentastellata: di fronte alla rinnovata richiesta di dimissioni da parte del vicepremier Luigi Di Maio, il presidente del Consiglio giudica infatti "legittima" la posizione dei 5 stelle. Non annuncia dunque a raffreddarsi il clima interno alla maggioranza di governo, dopo le forti tensioni che hanno accompagnato l varo da parte del Consiglio dei ministri del decreto Crescita, contenente alcune delle norme cosiddette 'Salva Roma', mentre altri articoli sono stati stralciati su insistenza della Lega. Lega che non è intenzionata a fare passi indietro sulla difesa di Armando Siri, indagato per corruzione.
Quel paragone con il caso Boschi
"Il mio nome non può essere accostato in alcun modo alla mafia, si sciacqui la bocca chi parla di Lega in relazione alla mafia", tuona Matteo Salvini, fiducioso nell'azione della magistratura, "che farà bene e velocemente il suo lavoro". Quindi, il titolare del Viminale tiene a ricordare che "Conte non ha chiesto le dimissioni di Siri". A chiederle, e con insistenza, sono invece i 5 stelle, che oggi tornano all'attacco: "La stampa riporta nuovi elementi in merito all'inchiesta che coinvolge il sottosegretario Siri, elementi politicamente significativi e che ci spingono nuovamente a chiedere un passo indietro al sottosegretario", si legge in una nota del Movimento al quale "sembra di rivivere il film di Renzi con la Boschi".
Ancor più netto Di Maio, che chiede a Salvini di rinnovare "la fiducia" alla base del contratto di Governo. "Questa fiducia va rinnovata con gesti concreti e allora se la Lega non c'entra niente con le accuse che vengono mosse a Siri dimostri la propria estraneità a questi fatti presunti allontanando Siri dal Governo". In serata Di Maio lancia un nuovo affondo: "C'è una gran bella differenza tra garantismo e, diciamola così, paraculismo. Per noi se una persona viene arrestata o indagata per corruzione deve lasciare. Se non lascia, lo accompagniamo noi fuori dalla porta. Senza aspettare i magistrati", scandisce.
Come chiesto ieri dal vicepremier pentastellato, della questione si occuperà direttamente Conte: "Prima ascolterò il sottosegretario, lo guarderò negli occhi e prenderò le mie decisioni tenendo conto del principio di innocenza a cui come giurista sono molto sensibile", ha spiegato il presidente del Consiglio. Il faccia a faccia, però, non ci sarà prima di quattro-cinque giorni. Il premier, infatti, sarà in Cina fino a domenica prossima. Tuttavia, per Conte "si possono prendere decisioni anche senza aspettare che la giustizia faccia il suo corso".
Di tutt'altro avviso Salvini, che puntualizza: "Nè io nè il premier facciamo il giudice o l'avvocato. Contiamo su una giustizia rapida e veloce. Io aspetto la magistratura, siamo in un paese civile dove non si è colpevoli o innocenti così, in base a un'occhiata". Fortemente critico il segretario del Pd: "Il compito della politica è non fare come fanno M5s e Lega, giustizialisti con gli altri, garantisti con se stessi", afferma Nicola Zingaretti.
Ma di far cadere il governo non si parla
Forza Italia, invece, 'bacchetta' il premier: "Mediatore ormai di parte tra i duellanti di governo, il premier dà la stura ad una preoccupante deriva giustizialista", osserva l'azzurro Francesco Paolo Sisto. Al di là del 'caso' Siri, dopo l'ennesimo scontro tra Lega e M5s andato in scena ieri, oggi entrambi i vicepremier garantiscono che il Governo andrà avanti, nessun rischio crisi: "Stop polemiche, il governo va avanti altri 4 anni. Ogni ministro deve pensare a fare il suo e il M5s vuole andare avanti per altri 4 anni", assicura il leader pentastellato. "È un esecutivo che può cambiare davvero le cose e noi ci crediamo. Quindi abbandoniamo anche i vittimismi", conclude.
Salvini riveste i panni del vicepremier dal 'profilo zen', e taglia corto: "Mi sono impegnato a non rispondere a polemiche, provocazioni e insulti da parte degli alleati 5 stelle". Il leader leghista quindi garantisce: "Costi quel che costi questo governo lo tengo in vita per il bene dell'Italia e degli italiani".