Brutti segnali. Nel milanese, a Vighignolo, nella notte di lunedì è stata incendiata la statua dedicata alla staffetta partigiana Giulia Lombardi, uccisa dai fascisti nel 1944 all’età di 22 anni, scrive la Repubblica in cronaca, alla viglia di un 25 aprile che appare molto divisivo e diviso.
Soprattutto ai vertici della politica, impegnati su più fronti, tranne su quello celebrativo come racconta nella cronaca il Corriere della Sera, giornale che per altro si chiede se questa data “è la prossima mina politica pronta a incendiare il dibattito nella maggioranza”. In altre parole può diventare “la disfida del 25 aprile”.
Il derby
Sulle celebrazioni del 25 aprile, pochi giorni fa Matteo Salvini era stato chiaro quanto lapidario: "Il 25 aprile ci saranno i cortei, i partigiani e i contro-partigiani, e i rossi e i neri e i verdi e i gialli. Siamo nel 2019 e mi interessa poco il derby fascisti-comunisti: mi interessa il futuro del nostro paese e liberare il nostro paese dalla camorra e dalla ’ndrangheta”.
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Derby. E questa parola “chiave”, d’ordine calcistico e sportivo, imposta dal vicepremier viene usata da Gad Lerner per un’analisi su la Repubblica quale filo conduttore per dichiarare che l’opposizione di Salvini a questa ricorrenza “rilancia la Resistenza” e le sue ragioni mettendo in guardia il vicepremier leghista dall’”usare prudenza, ni suoi sfottò anche riguardo all’Associazione nazionale partigiani d’Italia”.
C’è il rischio di una campagna che può trasformarsi in un boomerang. In che senso? “Mettersi contro l’Anpi non porta mai bene, altri se ne sono già accorti”, scrive Lerner.
“Tali attacchi stanno ottenendo il risultato contrario: di fronte al dirompente rovesciamento degli equilibri politici, culturali e linguistici verificatosi nel corso del 2018, la scelta partigiana ha riacquistato un’attualità evidente, così come la parola Resistenza”.
Per poi ricordare: “Fu un incidente fatale del renzismo di governo, ignaro di toccare un nervo vitale della comunità democratica, quando Maria Elena Boschi nel 2016 polemizzò con l’Anpi sostenendo che ‘i partigiani veri’ avrebbero votato Sì al referendum costituzionale”. Poi si sa come andò a finire il 4 dicembre del 2016… La maggioranza dei votanti respinse il referendum voluto dal governo”.
Sulle colonne del quotidiano di via Solferino, Pierluigi Battista disquisisce su “l’idea di nuovo fascismo” a partire da “quella lezione del 25 aprile ‘94” quando le cerimonie per l’anniversario della Liberazione “furono molto diverse da quelle celebrate appena un anno prima, nel 1933”.
E come furono? Secondo Battista “un rituale stanco e sfibrato, con uno slancio emozionale molto debole”, riattizzato l’anno successivo con “una manifestazione combattiva e militante, l’ondata di piena di un sentimento antifascista redivivo” (…) “incandescente e febbrile”, “un incendio di emozioni, che sprigionava le sue fiamme malgrado il diluvio apocalittico che si era abbattuto su Milano”.
Ma per Battista da quella “grande piazza del ’94 nacque l’idea sbagliata dell’allarme fascismo”.
Perché e cosa era successo? Era accaduto che “un mese prima aveva vinto il Cavaliere Nero Silvio Berlusconi che si era portato appresso i fascisti del Msi di Fini non ancora sbiancati nelle acque purificatrici di Fiuggi, gennaio 1995, e questa vittoria aveva gettato nel panico uno schieramento portato a identificare la propria sconfitta come un campanello d’allarme per la stessa democrazia”.
E come andò a finire? “Ma il fascismo non arrivò, per fortuna. Anzi, no, non per fortuna ma perché la politica della sinistra capì la lezione e invece di continuare a gridare al pericolo fascista si preparò, tra mille difficoltà, a contrastare l’avversario, con le armi della democrazia, non con quelle della testimonianza e dell’allarmismo”.
Così “le certezze sul nuovo fascismo – seguita Battista - si sono rivelate fallaci, anche se per anni si è disquisito su quale aspetto del regime mussoliniano la ripetizione fosse più spiccata. E si sono scoperte le formule del ‘fascismo light’ e del ‘fascismo 2.0’, per cercare di attenuare l’enormità di un paragone che non ha mai avuto un aggancio con la realtà storica e politica”.
Il Rock del nazista
A pag. 16 La Repubblica racconta, per la firma di Paolo Berizzi, cronista sotto scorta e minacciato dai gruppi dell’estrema destra, come “l’onda neonazi sfida la Liberazione” tra “raduni e concerti nel nome di Hitler”: “Varese chiama, Verona risponde. Nel nome di Adolf Hitler. Di qua, a ovest, Varese Skinhead e Do.Ra. (Comunità militante dei dodici raggi); di là, a est, nelle retrovie più buie della “Verona nera”, i soldati politici del Veneto Fronte Skinhead” l’inizio dell’articolo.
Ovvero, “sempre loro, quelli dei blitz squadristi anti-immigrati e della becera propaganda razziale. Varese e Verona: l’asse lombardo-veneto. Nazionalsocialista, revisionista. Festeggiano il genetliaco del Führer tra svastiche, saluti romani, slogan d’odio e fiumi di birra. Come se il compleanno del responsabile del più atroce genocidio nella storia dell’uomo fosse una data fausta per l’Italia”.
L’articolo di Berizzi racconta, in estrema sintesi, che in questi giorni — nel silenzio delle istituzioni — sta andando in scena il peggio. Raduni in onore di Hitler, concerti nazirock, parate dentro e fuori i cimiteri. In scia alle celebrazioni dell’anniversario della nascita dei Fasci italiani di combattimento: ovvero l’inizio del fascismo. E descrive la mappa degli incontri e degli appuntamenti. “Contro i migranti, i gay, le minoranze, gli ebrei”.