Nei governi Renzi e Gentiloni, che lo hanno visto guidare il ministero dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda era considerato l'uomo dell'innovazione. Il piano per l'Industria 4.0, i fondi per le Pmi digitali e una costante presenza sui social network, sui quali interloquisce davvero con chiunque. Anche per questo ha scatenato un'accesa polemica il suo Tweet nel quale attacca senza mezzi termini i videogiochi, rei di istupidire la gioventù, come, in passato, si diceva dei fumetti, della musica rock o dei cartoni animati giapponesi.
Ma come, si saranno chiesti i suoi sostenitori, proprio uno come Calenda se ne esce con un'affermazione che per molti potrebbe provenire da un arcigno nonno impegnato a disprezzare tutto ciò che è stato inventato dopo gli anni '50?
Fondamentale prendersi cura di ogni ragazzo: avvio alla lettura, lingue, sport, gioco. Salvarli dai giochi elettronici e dalla solitudine culturale e esistenziale. Così si rifondano le democrazie. https://t.co/2FwuG4jyUZ
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 3 novembre 2018
"Un po' forte e antiquato come concetto", è una delle critiche che gli vengono rivolte. Ma Calenda insiste e rivela di negare alla sua prole questo passatempo.
Sarà forte ma io considero i giochi elettronici una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento. In casa mia non entrano. https://t.co/ZC74SNSFCq
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 3 novembre 2018
C'è chi li considera, nelle giuste dosi, addirittura positivi. C'è chi ritiene siano una forma d'arte a tutti gli effetti. L'ex ministro non appare convinto.
Il problema è la passività rispetto alla lettura e al gioco. Reagisci non agisci. Inoltre abituano la mente a una velocità che rende ogni altra attività lenta e noiosa. https://t.co/56Z0DxSBJb
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 3 novembre 2018
Arrivano le repliche degli addetti ai lavori.
@CarloCalenda credo che lei, in buona fede, non conosca la reale identità di ciò che chiama “giochi elettronici”, e che sono opere interattive dal valore culturale e artistico, nel solco di letteratura, teatro, cinema o fumetto. Lo insegno da 10 anni all’Università “Tor Vergata”.
— Metalmark (@Metalmark) 3 novembre 2018
E arrivano anche le inevitabili ironie. Molti utenti ritirano fuori la foto che ritraeva Matteo Renzi e Matteo Orfini distrarsi con una partita.
Scusi Onorevole Carlo Calenda diceva? pic.twitter.com/OoD9lSmZIc
— Dani Ferru (@DanieleFerru) 3 novembre 2018
Ovviamente, c'è anche chi la butta giù ancora più dura di Calenda.
Per un opera, forse, di qualche interesse miliardi di terabyte di monnezza infarcita di violenza gratuita e insulsaggini per tutti i gusti e tutte le tasche. Questo insegnate all'università : come mantenere 'sti poracci nell'infanzia perenne e, devo dire, ci riuscite benissimo.
— Cyrano (@ayrvian) 3 novembre 2018
L'invito generale è, però, a evitare di fare di tutta un'erba un fascio. L'importante è non lasciare i bambini soli davanti allo schermo.
40 anni, gamer da 34, padre di due bambini (6 e 4).
— Simone AKirA (@SimoneAKirA) 3 novembre 2018
Entrambi giocano ai videogiochi ACCOMPAGNATI dal loro papà e vengono stimolati, dai giusti titoli (che scelgo personalmente), al ragionamento e alla creatività.
Il punto è non lasciarli da soli, ed è un problema di ignoranza
Un settore che in Italia vale un miliardo e mezzo
La dichiarazione ha infiammato il dibattito su tutte le testate dedicate al settore e, più in generale, all'universo digitale. Marco Accordi Rickards, il docente di Tor Vergata che aveva replicato a Calenda su Twitter, ha approfondito la questione su Agenda Digitale. "Oggi il videogioco è molto più che un semplice gioco davanti a uno schermo, è un’autentica opera interattiva, che fa uso di tutte le forme di linguaggio e comunicazione umane, fondendole insieme grazie al quid pluris dell’interattività, che coinvolge il fruitore nell’esperienza immaginata e realizzata dagli autori", spiega il professore, "ciò vuol dire che il suo “gioco elettronico”, oggi, è uno strumento poliedrico e vibrante: a volte mette in scena un grande racconto corale western che omaggia Clint Eastwood e Sergio Leone (Red Dead Redemption 2, opera che per contenuti e forza narrativa ha da insegnare a parte del cinema e persino della letteratura), altre volte si ferma a narrare il vero racconto del dramma di una famiglia che perde il suo bambino, affetto da una grave forma di leucemia (That Dragon Cancer, che ha devoluto il suo incasso in beneficenza). Con tutte le doverose sfumature intermedie: esistono opere di puro svago, mentre altre, indipendenti, fanno satira politica contro Donald Trump; alcuni videogame diventano sport elettronici, altri ancora vengono invece ideati e realizzati con fini didattici o terapeutici. Il discorso sarebbe lungo e articolato, ma credo che il punto sia già evidente".
E c'è anche una questione economica: "Come ben certifica AESVI, l’associazione di categoria dell’industria del videogioco italiana in Confindustria, fattura 1,5 miliardi di euro annui, posizionandosi tra i più importanti mercati europei, e che sempre più donne e uomini trovano lavoro in questo settore".
Per Wired è una posizione "facile e ignorante"
Per Gabriele Niola, critico videoludico di Wired, si tratta di una posizione "molto facile e molto ignorante, ma non solo ignorante di videoludica. Implica che chi l’ha enunciata sostanzialmente si esprime su qualcosa di cui non sa molto, di cui ha una nozione vaga e che teme invece che esserne incuriosito (non proprio il massimo come mentalità per un politico vero?), ma soprattutto è ignorante di tante altre discipline che non sono i game study". "La videoludica è innanzitutto esercizio della mente e risoluzione di enigmi, che alla destrezza manuale affiancano un lavoro di ricerca delle soluzioni, anche solo dei punti di deboli di un boss, che manca per esempio al gioco tradizionale", prosegue Niola, il quale appare altrettanto stupito che un'asserzione simile arrivi da un politico progressista e sulla carta attento al mondo dell'innovazione.
"Se questa affermazione fosse arrivata da un parlamentare o un membro del governo conservatore sarebbe stato tutto meno clamoroso e deprimente, in fondo quella è la parte deputata alla retroguardia", è la conclusione, "che arrivi dalla parte progressista taglia davvero le gambe e conferma quel che vediamo anche in altri ambiti, cioè che i progressisti sempre di più sono il partito conservatore, cioè quella parte politica che si appella di più al passato, alle cose di una volta, ai cari vecchi valori e al mondo tradizionale italiano delle fabbriche, dei bei cinema con il rumore del proiettore e del fast food come terribile minaccia ai panini con la mortadella".