E' uno tenace, Jean Asselborn. E' tenace nel mantenere la guida della diplomazia lussemburghese (è ministro degli Esteri dal 2004); è un tenace sportivo (è appassionato di ciclismo e a 69 anni ha affrontato più volte il leggendario Mont Ventoux oltre a farsi 2.000 chilometri in giro per la Francia) ed è un tenace anti-populista. L'ultima occasione per dimostrarlo è stato lo scontro con Matteo Salvini sulla questione dei migranti. Ma se si scorrono le cronache non sfugge che il suo bersaglio preferito è l'Ungheria e in particolare il governo di Viktor Orban.
Chi ha familiarità con la dialettica di Asselborn sa che è uno che borbotta, ribolle come una caffettiera e poi esplode. In una intervista con il tedesco Der Tagesspiegel, ad esempio, si disse indignato perché l'Ue non prendeva una posizione netta contro le sanzioni varate dal governo Orban alle società del finanziere unghesere George Soros. Ma ancora prima, nel 2016, in un'intervista a un altro giornale tedesco, Die Welt, aveva detto che l'Ungheria meritava di stare fuori dall'Unione per le aggressive politiche migratorie. "Ci manca poco" aveva affermato, che il governo di Orban "si metta a sparare ai profughi".
Dell'opinione che il gabinetto ungherese ha di lui si è fatto portavoce il ministro degli esetri Péter Szijjártó: "Asselborn è un idiota e il popolo ungherese non ha alcun bisogno delle sue folli idee per decidere cosa è bene e cosa è male per esso".
Del resto anche in patria è considerato un personaggio sui generis. In un articolo dall'emblematico titolo 'L'Estraneo', il sito lussemburghese Reporter sottolinea come sia sostanzialmente ai margini dell'esecutivo: raramente appare nel Consiglio dei ministri. Ancor più raramente viene coinvolto nelle discussioni politiche sostanziali. Fare un bilancio del suo lavoro, si legge ancora, non è un compito facile.
A differenza dei suoi colleghi di gabinetto, Asselborn ha avviato solo poche riforme. Il suo lavoro di ministro degli Esteri si misura più nei discorsi, negli umori e nell'impulsività che nell'attuazione delle leggi. Le cose vanno diversamente nel dipartimento immigrazione e asilo, di cui è responsabile in qualità di ministro degli Esteri: qui, nonostante le occasionali critiche da parte di organizzazioni non governative, è riuscito a far fronte alla crisi dei rifugiati in Lussemburgo dal 2015 senza molte polemiche politiche.
Ma perché Asselborn ce l'ha tanto con l'Ungheria? Come ricorda il Giornale, il ministro socialista ha condannato la decisione di Budapest di aprire il fuoco contro i rifugiati che cercavano di entrare nel Paese e si era scagliato contro le violazioni del governo ungherese dei valori fondamentali dell'Ue come l'indipendenza della magistratura e la libertà di stampa. Allora, la sua esortazione a sospendere o a espellere l'Ungheria dall'Ue aveva attirato dure critiche da parte dei colleghi europei.
Asselborn non è comunque nuovo a decisioni forti: nel marzo scorso aveva deciso di richiamare l'ambasciatore lussemburghese in Russia, esprimendo pieno sostegno al Regno Unito dopo l'attacco a Salisbury in cui l'ex spia russa Serjey Skripal, e la figlia, sono stati avvelenati.
Le tappe chiave della carriera di Asselborn
- Master in diritto giudiziario privato presso l'Università Nancy II.
- Sindacalista nella Uniroyal dal 1967.
- Eletto sindaco di Steinfort nel 1982 e riconfermato per 22 anni.
- Nel 2004 nominato vicepremier e ministro degli Affari esteri. Dopo le elezioni del 2013 Asselborn abbandona la carica di vicepremier mantenendo quella di ministro degli Esteri e dell'Immigrazione.
Fa parte, ricorda il Corriere, del governo guidato da Xavier Bettel, in carica dal dicembre del 2013, esecutivo formato dalla coalizione di maggioranza composta da Partito Democratico (DP), Verdi (DG) e Partito Socialista Operaio (LSAP). Nel 2012 ottiene che il Lussemburgo venga eletto per la prima volta membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu.