Ora l’Europa è un po’, appena un po’, diversa da quella che era due settimane fa, quando Matteo Salvini e Viktor Orban si incontravano a Milano e preannunciavano la creazione di un’internazionale sovranista, magari con la benedizione ed il supporto ideologico di Steve Bannon. Allora i due leader populisti guardavano al Continente con la sicurezza di chi guata il campo di battaglia ragionevolmente certo della vittoria finale, a maggio con le elezioni. Dopo il voto del Parlamento di Strasburgo, che ad ampia maggioranza ha sanzionato l’Ungheria, tante certezze sono meno certe.
L’Europa s’è desta
Innanzitutto qualcuno ha battuto un colpo, o per lo meno ha inviato alle opinioni pubbliche nazionali un’autocertificazione di esistenza in vita. Sono le istituzioni europee, accusate spesso e talvolta a ragione di essere sentine di burocrati: dediti, magari, a servire gli interessi delle sottilette, sparate dalle catene di montaggio della grande industria, a spese del buon formaggio di malga, fatto a mano e con tanto latte puro. Invece l’Europa ha dimostrato di essere un agone politico.
Era ciò che in molti le chiedevano, e anche il contemporaneo voto sul copyright sancisce che si può dire di no anche ai giganti del web. Solo un’entità politica autorevole si può permettere di farlo.
Orban la farà franca, ma ora è sulla difensiva
L’Ungheria, da parte sua, difficilmente andrà incontro a conseguenze concrete. Quando si tratterà di decidere la punizione, la Polonia interverrà (anch’essa si prepara a salire sul banco degli imputati per motivi analoghi) e bloccherà tutto. Il favore le verrà ricambiato più tardi da Budapest. Ma – e questo è il punto – si tratta di uno schema difensivo, e per gente abituata ad attaccare per vincere giocare in difesa è sempre problematico. Tanto più che da qua ad allora lo stesso Orban dovrà operare una scelta.
La scelta di Viktor
Le possibilità sono due: o dà pieno seguito al progetto comune con Salvini e Bannon, o resta nel Ppe, con la speranza di essere al suo interno una forza determinante. Nel primo caso prenderà una strada sulla carta tutta in discesa, in realtà troppo in discesa per non risultare scivolosa. L’effetto del voto di censura sull’opinione pubblica nazionale ungherese sarà lo stesso delle accuse a testa bassa rivolte a Salvini in Italia, per via della sua politica migratoria: un grande successo per l’incolpato. Ciò detto, a Strasburgo è emerso che si può anche essere lasciati soli, e l’isolamento alla lunga sfianca l’isolato. In fondo l’Ungheria non ha le dimensioni o il peso della stessa Italia, per non parlare della Germania o della Francia. Certe cose, poi, hanno un prezzo, soprattutto in tempi di stesura dei bilanci.
Più probabile che Orban decida di tenere il suo Fidesz all’interno del Partito Popolare Europeo. Ma anche qui i numeri non lo aiutano: all’Europarlamento si è compattato un fronte conservatore ma non sovranista che ha come epicentro il nord del Continente. Quello, si badi be ne, dove i sovranisti non sono riusciti a sfondare per due volte: prima in Olanda e poi in Svezia.
I Popolari divisi, ma prevale l’asse centrista
In particolare la decisione su Orban segna la prima volta che la Cdu-Csu, il blocco di origini cristiano-democratiche del centrismo tedesco, evita di spostarsi a destra nel momento delle decisioni. Finora era stato il contrario, ad iniziare dal 1989. In quell’anno i tedeschi dell’Internazionale democristiana spinsero con tutte le loro forze (imponendosi, alla fine) per far entrare nel gruppo parlamentare di Strasburgo i conservatori britannici. Una politica seguita anche per Forza Italia e una serie di altre formazioni centroeuropee. L’analisi di quanto accaduto nei confronti di Orban la dice lunga su quanto stia accadendo: a favore dell’Ungheria si sono schierati oltre agli stessi ungheresi, i berlusconiani e tre parlamentari del Partido Popular spagnolo (gli altri si sono astenuti).
Soprattutto, pare che la disposizione di votare a favore della censura sia stata impartita ai rappresentanti della Cdu da Angela Merkel in persona, con buona pace del neocandidato alla presidenza della Commissione europea prossima ventura, Manfred Weber. Nonostante quattro dei cinque europarlamentari della Csu abbiano deciso in favore di Budapest. Dopo la crisi di governo sfiorata per via dei migranti, aumenta il fossato tra il bavaresi e i loro confratelli del resto della Germania, i quali ora sembrano essere meno disponibili ad aperture di credito sulla destra. Insomma, l’asse sta spostandosi sulle posizioni più centriste.
Le elezioni sono ancora molto lontane
Ultimo punto: per la prima volta la sinistra europea, ammaccata e non poco a seguito delle tornate elettorali degli ultimi due anni, è tornata a segnare un punto a proprio favore e sembra in grado di polarizzare l’attenzione dei rivali popolari in funzione di un’azione comune contro il nemico di entrambi. Vale a dire proprio il fronte sovranista.
È molto presto per parlare di una rinascita della Vecchia Europa, noiosetta ma affidabile, sulla nuova Europa molto più divertente ma anche meno rassicurante. Quello che è certo è che le elezioni saranno a maggio, e che i sovranisti appaiono ancora favoriti. Ma un premier britannico, Harold Wilson, diceva che in politica anche solo una settimana è l’eternità. Figuriamoci nove mesi.