Pubblico e privato, indissolubilmente legati, sono le due categorie dell’essere economico che nella Cassa Depositi e Prestiti vanno d’accordo, da oltre un secolo e mezzo. Un connubio cavouriano per cui si concedono alle imprese italiane quei contanti rastrellati nel microrisparmio di cui esse hanno spasmodico bisogno, ed alla politica si riconosce una capacità di manovra che può sapere talvolta di bassa cucina del potere, ma magari nasconde strategie di sviluppo a lungo termine quali solo la politica, quando è all’altezza del compito, può elaborare.
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Sia come sia, è questa la spiegazione del fatto che il governo giallo-verde, che intende plasmare il Paese secondo nuove forme, nella Cassa Depositi e Prestiti trovi un banco di prova per la tenuta della maggioranza. Sia i leghisti, sia i cinquestelle sono coscienti che le nomine dei vertici contano parecchio, e conteranno in futuro. Per gestire sì il presente, ma soprattutto impostare tanta parte dell’economia italiana negli anni che verranno. Grazie anche ad un tesoro da 410 miliari di euro, tanti quanti rappresentano l’attuale patrimonio della Cdp.
I candidati e lo stallo
Al momento la situazione e bloccata, e se tutto va bene la soluzione arriverà non prima di mercoledì 18, anche se qualcuno giura che nemmeno allora il nodo verrà sciolto. Per il M5s, la Cdp potrebbe diventare una sorta di Banca per gli investimenti, fornendo credito a tassi moderati alle piccole e medie aziende e finanziare iniziative di interesse pubblico e strategico nazionale: prima fra queste, ad esempio, l'operazione Alitalia. Ad ogni modo, le Fondazioni (l’altra metà del cielo della Cassa) avevano già espresso a inizio giugno il loro candidato, indicando Massimo Tononi alla presidenza.
Il nodo più difficile da sciogliere resta infatti quello della nomina dell'amministratore delegato: in pole vi sono sia Marcello Sala, con un passato ad Intesa Sp e caldeggiato dalla Lega, sia Fabrizio Palermo, manager interno (attuale direttore finanziario) più vicino ai 5S. Il Tesoro invece punterebbe su Dario Scannapieco, già vicepresidente della Bei, che sarebbe gradito sia dal Carroccio sia dagli ambienti cinquestelle.
Chi ha le chiavi della Cassa
Insomma, un intreccio di culture economiche ancor prima che di interessi politici, che scaturisce dalla struttura stessa dell’istituzione, come dalla sua storia. Un ircocervo, la Cassa, statuariamente una Società per Azioni, ma anche con una ingombrante presenza dello Stato. Su 100 azioni, si calcola, un filo più di 80 sono sotto il controllo del Tesoro, e le restanti 19,99 sono appannaggio di una serie di Fondazioni Bancarie, peraltro mai totalmente private. Non stupisca allora se presidente e amministratore delegato sono nominati dal ministro dell’Economia.
Quei 400 miliardi e più che gonfiano le casse della Cassa, del resto, sono frutto del risparmio postale: dei risparmiatori più piccoli tra i piccoli risparmiatori. Denaro privato, ma rimesso in circolo con un meccanismo che ricorda agli storici quel credito di guerra che la vecchia Europa scopriva cent’anni fa esatti come volano per tenere in moto le economie, e garantire lo sviluppo.
Non stupisca nemmeno, a questo punto, che il sito ufficiale della Cdp sbandieri tra le mission istituzionali proprio il contributo “alla crescita del Paese”. Con finanziamenti alle imprese ed ai loro progetti volti a coniugare profitto privato e crescita comune. È così fin dagli inizi, e sono inizi che risalgono nemmeno a cent’anni fa, ma addirittura a centosettanta.
L’intuizione di Cavour
La Cassa, infatti, è stata creata a Torino nel 1850, all’inizio dell’era di Camillo Benso conte di Cavour, che sapeva bene come fosse necessario, per espandere il Regno di Sardegna fino a farne il Regno d’Italia, partire dalla sua economia, fino ad allora traballante. E quei soldi servirono a costruire le ferrovie e realizzare, con il tempo, il triangolo industriale Torino-Genova-Milano. La Rivoluzione Industriale italiana ebbe così un cuore pubblico, fin dai suoi esordi. Pubblico ma affidato alle potenti mani dei privati e delle famiglie dei grandi industriali, che avrebbero sostenuto l’impeto unificatore non senza trarne vantaggi molto concreti.
Una scommessa senza rischi
Oggi come allora la Cdp si premura di prestar denaro a medio termine agli enti locali per costruire infrastrutture, ben sapendo che a garanzia dei conti di un Comune c’è sempre il pubblico, lo Stato. Un safe betting, in altre parole, che garantisce benevolmente tutti: chi prende il denaro a prestito, ma soprattutto chi quel denaro lo ha messo a disposizione della Cassa tramite i libretti postali. E tutti sono contenti.
Ma questa è solo una parte della storia.
Quando è lecito intervenire nell’economia
Esiste infatti un ulteriore campo in cui la Cassa si muove e, grazie alla sua potenza, risulta spesso determinante. Talvolta - spesso – i fondi vengono utilizzati per operazioni non garantite dallo Stato, per investire in “società di interesse nazionale in equilibrio economico e finanziario e con prospettive reddituali e di sviluppo”. A stabilire questa variazione di scopo fu Giulio Tremonti, ministro di gusti colbertiani. Un codicillo che permette alla Cassa ampie facoltà di intervento ed investimenti, tanto da farla paragonare nei commenti di molti a un Istituto per la Riconversione Industriale sotto altre spoglie.
E l’Europa resta a guardare
L’Iri: dismesso con ignominia (e qualche frettolosità) una ventina di anni fa, nel nome del libero mercato e dei suoi “spiriti animali” che anche il Belpaese iniziò ad ossequiare ai tempi delle privatizzazioni. Certo, non è la stessa cosa: all’epoca delle partecipazioni statali lo Stato partecipava a tutto, anche alla produzione dei panettoni, mentre la Cdp può acquisire solo quote di minoranza dei patrimoni azionari delle imprese. Può dare un aiutino, in altre parole, e non di più. Ma è il principio quello che conta, e se un settore viene giudicato strategico dalla politica, le maglie immediatamente si allargano, anche perché solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra, e il peccato qui è molto diffuso.
In Germania e in Francia, infatti, i corrispettivi della Cdp (si chiamano Kfw e Cdc, rispettivamente) si fanno spesso strumento di operazioni di economia pubblica che Bruxelles dovrebbe, sulla carta, aborrire. Ma quando si tratta di Berlino o Parigi l’economia sociale di mercato alla fine ha il sopravvento sulle giaculatorie liberoscambiste del capitalismo all’anglosassone, e tutto resta come prima. Un precedente molto interessante.
Cossiga ci aveva visto lungo
Tanto più che a fronte di questo peccato, esiste anche l’innegabile virtù dei conti in attivo della Cassa. Valle a dire qualcosa, a questo punto. Ed ecco che Keynes si può prendere la rivincita su Adam Smith, e non solo nell’Europa di Carlo Magno. Basta che non si aprano certe cateratte e, per dirla come la diceva Francesco Cossiga, “non ci si creda keynesiani solo perché si spende troppo”. È già successo una volta, meglio non succeda più.