"È una situazione molto particolare". Maurizio Martina confessa che il tentativo di accordo con il M5s è quantomeno inedita ed inattesa e che non sarà una passeggiata. "Combatto. Ci provo fino in fondo". E dalle sue parole si capisce quanto scetticismo aleggi intorno all'impresa, non solo nel Pd. Anche nei Cinquestelle non è un coro trionfale. Le due comunità, dem e grillina, si stanno dividendo tra favorevoli e contrari all'intesa.
Dopo le polemiche sui social, ieri ci ha pensato Matteo Renzi, ex segretario Pd con una solida base parlamentare, a condurre un suo personale sondaggio tra i cittadini di Firenze incontrati durante le celebrazioni del 25 aprile. Da oggi saranno i vertici dei due partiti a svolgere una sorta di referendum sul possibile dialogo: in serata si riuniranno i gruppi di deputati e senatori M5s per una prima valutazione. Mercoledì 2 maggio Andrea Marcucci ha convocato una riunione dei senatori dem, in attesa di sapere quando sarà convocata la direzione, molto probabilmente sempre non prima di mercoledì.
Per approfondire i contorni del confronto Roberto Fico ha già fissato un secondo giro di consultazioni: prima il Pd, alle 11, poi il M5s alle 13. In ballo ci sono il programma, certo, ma anche la premiership di Luigi Di Maio, che potrebbe essere ridiscussa. Nel pomeriggio il presidente della Camera riferirà al presidente della Repubblica. Che, se ci sarà filo per tessere, darà altro tempo al mandato esplorativo. Lo stallo dura da due mesi e non si può troncare una possibile intesa per una questione di qualche ora o mettendo fretta a una operazione politica delicatissima. Anche perchè l'alternativa non sarebbe così rosea.
Salvini assicura che il canale con il Movimento è ancora aperto, e lo stesso canale sembra essere tenuto in vita anche dai grillini. Non a caso ieri sulla democraticità del M5s è andato in onda un altro scontro, l'ennesimo, tra Silvio Berlusconi e il leader del Carroccio. C'è dunque chi vede ancora possibile un ritorno di fiamma tra Salvini e Di Maio.
Ma al Colle procedono solo basandosi sulle dichiarazioni e i tentativi ufficiali fatti nelle scorse settimane nelle sedi istituzionali. E questi, per tre volte, hanno certificato l'impossibilità sia di una intesa dei grillini sia con il centrodestra che con la sola Lega, nè dai tre giorni di tempo dati per riflettere dopo l'esplorazione Casellati sono giunte novità.
L'ultimo arrivato prepara già la valigia. Calenda: "Se si allea con M5S, lascio il Pd" https://t.co/b3DYIn8kt1
— L'HuffPost (@HuffPostItalia) 25 aprile 2018
Fallito il tentativo M5s-Pd, dunque, l'opzione residuale sarebbe solo il governo di responsabilità. Ma sia Di Maio che Salvini si sono detti indisponibili e, senza i loro voti, questo esecutivo non avrebbe i voti per superare il passaggio della fiducia alle Camere, se non con una astensione che lo renderebbe di fatto un governo di minoranza, fragile, instabile e di corta durata. Il rischio di tornare al voto in autunno quindi diventa uno spettro sempre più presente nei palazzi della politica, a cominciare dal Quirinale. Dove lo si considera un rischio per il Paese, ma dove si cominciano a fare i conti con questa ipotesi in modo molto più pragmatico e concreto di qualche settimana fa.