La chiusura certificata 'solennemente' alla fine è arrivata. Luigi Di Maio, dopo l'incontro con Roberto Fico per le consultazioni, è stato chiaro: fine delle trattative tra M5s e Lega. Il 'forno' è chiuso.
"Il discorso con la Lega si chiude del tutto" ha detto il Capo politico 5 stelle perché, ha sottolineato, "in circa 50 giorni abbiamo provato in tutti i modi e tutte le forme a invitare la Lega a firmare un contratto di governo" ma "hanno deciso di condannarsi all'irrilevanza".
E così il dialogo per tentare di formare un governo riparte, ma dall'altra parte. Da quel Pd al quale, in realtà, si guardava già la notte del 4 marzo quando da fonti autorevoli pentastellate trapelava l'intenzione di avviare un dialogo con i dem, poi subito archiviato in favore di Salvini con il quale Di Maio ha registrato un feeling immediato.
L'ipotesi sul tavolo
Ora sul tavolo c'è l'ipotesi Partito Democratico e non tutti sono contenti dentro M5s. Nel gruppo dei 5 stelle, però, da sempre eterogeneo per provenienze politiche (inevitabilmente dal momento che M5s ha sempre rivendicato di essere né di destra né di sinistra e quindi li accoglie entrambi), ci sono reazioni contrastanti.
C'è chi tira un sospiro di sollievo come Federico D'Incà - deputato del nord, nonno partigiano, ogni 25 aprile in piazza - che confida di essere "fiducioso" nella nascita di un governo con il Partito Democratico. Del resto, D'Incà aveva espresso tutte le sue perplessità su una convergenza con il Carroccio giaàin una delle assemblee 5 Stelle in relazione alla vicenda delle banche venete.
Chi non ne vuole sapere del Pd, ma...
Ma qualcun altro tra i deputati 5 Stelle la vede in modo diametralmente opposto: un'intesa di governo con il Pd risulta indigesta a chi fa il nome di Maria Elena Boschi in relazione sempre al capitolo spinoso delle banche: "Come glielo spieghiamo ai risparmiatori?" chiede un pentastellato. A fronte di questo scenario qualcuno potrebbe pensare di lasciare il gruppo per andare nel Misto? Un parlamentare di vecchio corso dice sicuro: "Se andiamo al governo non lascia nessuno....". Il problema, infatti, nascerebbe in caso di fallimento con i dem: in quel caso tutte le differenze di opinione potrebbero portare ad una spaccatura nel Movimento.
Fiducioso che il nuovo canale aperto con i dem possa portare buoni frutti è anche Carlo Sibilia che all'Agi dice: "Perché no? Io sono fiducioso per un governo che tenga conto che la forza politica più votata in Italia e sulla quale tutti gli italiani ripongono le proprie speranze vada al governo. Vada giustamente al governo". E già su Facebook aveva scritto di credere che "non ci siano più impedimenti per far avviare un governo M5s-Pd" sottolineando che i rispettivi programmi "hanno diversi punti di contatto e quindi, questo il suo convincimento: "Credo sia arrivato il momento buono per far partire un governo responsabile e solido".
Un contratto di governo
In ogni caso sul contratto di governo definitivo, che dovesse venir fuori dal confronto con il Pd, l'ultima parola spetterebbe agli iscritti. Di Maio lo ha annunciato dopo le consultazioni dimostrando cosi' di tenere conto degli umori della base che da ieri sul web protestano a viva voce per la 'virata' dalla Lega al Pd. Non mancano quelli che minacciano di non votare più per i 5 stelle. Ma siamo solo al fischio di inizio. Anche sull'esito della partita diverse sono le opinioni tra i 5 stelle. Molti non sono ottimisti e la rivendicazione di Di Maio per la sua premiership - oggi non reclamata in realtà ma secondo i vertici 5 Stelle assolutamente non in discussione perché "M5s è Di Maio premier" - potrebbe rappresentare un ostacolo nel dialogo con il Pd.
Anche sulla premiership non mancano le sfumature dentro M5s. Tra gli ortodossi c'è chi ha già detto che ciò che conta è fare un governo per il bene del Paese e in quest'ottica va bene anche con il Pd; che importanti sono i temi e anche chi guida il governo sarebbe elemento secondario. Ma questo è un tema, così viene riferito, di cui non si sarebbe parlato nel corso delle consultazioni di oggi perché, hanno spiegato sia i dem che i 5 Stelle, siamo ancora alle 'precondizioni'.
E non è un caso che Di Maio abbia chiesto ai democratici di sedersi intorno a un tavolo per "verificare se ci siano i presupposti" per firmare il contratto di governo. Il traguardo in ogni caso non sembra vicino. I 5 stelle sono prudenti e ricordano come fino a pochi giorni fa sembrava essere cosa fatta un governo con Salvini. Quindi, prudenza. Anche perché solo qualche giorno fa un pentastellato ironizzava: "Aspettiamo che maturi il Pd ma il rischio è che cada e marcisca subito...".
La fiducia reciproca non c'è mai stata e non nasce così in poche ore, spiegano da M5s, dopo anni in cui tra i due partiti sono volati gli stracci e le divergenze anche di merito sono state notevoli: la 'buona scuola' e il Jobs Act, solo per fare due esempi, li hanno visti contrapposti. Ma sul reddito di cittadinanza, ormai declinato reddito minimo di inclusione, con una formula più dem che 5 Stelle, forse adesso si potrebbe trovare una convergenza. Alla luce del nuovo canale di trattativa, ammoniscono da M5s, bisogna fare un passo alla volta. Di certo, se il tentativo con il Pd fallirà, il Movimento non darà mai il suo appoggio a un governo istituzionale o del Presidente o governissimo, che dir si voglia. E chiederà di tornare al voto.