La notizia buona è che i disonesti o presunti tali, nei ministeri, stanno diminuendo. Quella cattiva è che sono ancora centinaia: per la precisione 872 nel 2017, contro i 1.183 del 2016. E a quanto pare, la strada per combattere l’omertà (spesso conseguenza del timore di rappresaglie) è ancora lunga perché questi ultimi non vengono adeguatamente isolati dai colleghi a conoscenza di condotte sospette. Nell’anno appena concluso, infatti, le segnalazioni giunte da dentro le amministrazioni ministeriali sono state in tutto 106.
E’ quanto emerge dalla lettura delle relazioni per il 2017 che i responsabili Anticorruzione di tutti i ministeri hanno inviato all’Anac, assolvendo all’obbligo di spedire ogni anno entro il 31 gennaio un prospetto coi procedimenti aperti e le sanzioni adottate l’anno precedente. Obbligo stabilito da un decreto del 2013, cui si accompagna quello della pubblicazione delle stesse relazioni sui siti dei ministeri. Va subito detto, però, che questa seconda prescrizione è stata assolta anche quest’anno in modo poco più che formale, poiché i documenti in questione spesso risultano “mimetizzati” nelle sottosezioni dei siti e raggiungibili solo grazie alla pervicacia di chi naviga in Rete.
Detto questo e tornando alle cifre, il dato poc’anzi citato tiene conto di tutti i procedimenti aperti nei confronti di dipendenti ministeriali per “fatti di rilevanza penale”, il che significa che le relazioni trattano di casi di corruzione in senso lato, visto che i dati sui riferiscono a tutte le fattispecie di reato e non solo quelle legate ai reati propri delle malversazioni nella Pa, come appunto corruzione, concussione o abuso d’ufficio.
La top ten di furbetti e corrotti
A guidare questa non certo entusiasmante graduatoria, è anche quest’anno il ministero della Difesa, per il semplice motivo che nelle statistiche relative al dicastero guidato da Roberta Pinotti rientrano anche gli organici di Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri e non solo il personale e dirigenti ministeriali. Il risultato è che nel 2017 i procedimenti avviati nei confronti di dipendenti della Difesa sono stati 460, di cui 376 per militari e 84 per civili. Meno, comunque, che l’anno scorso, quando furono 562, di cui 483 militari e 79 civili.
Il capitolo sanzioni, se guardato da un punto di vista complessivo, indica che sta aumentando, seppure di poco, l’incidenza dei licenziamenti anche se in assoluto questi stanno diminuendo. Nel 2017, in totale, i licenziamenti sono stati 70, mentre nel 2016 erano stati 89, ma a fronte di 1.183 procedimenti totali, contro gli 872 del 2017.
Ministero per ministero
Vediamo più nel dettaglio i dati dei principali ministeri, che sono condizionati, come nel caso della Difesa, dalla presenza di forze armate che aumentano gli organici ministeriali in modo esponenziale. Non a caso, a seguire la Difesa è il ministero dell’Interno, che tiene conto anche dei dipendenti della polizia di Stato e dei Vigili del Fuoco: qui i procedimenti aperti sono stati 174, dei quali 23 per reati di corruzione e dieci per associazione a delinquere. Sul gradino più basso del podio c’è il ministero della Giustizia, con 156 procedimenti, la maggior parte dei quali hanno colpito dipendenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Dipartimento Organizzazione Giudiziaria.
Dal quarto posto in poi, i numeri scendono vorticosamente: dopo i 37 procedimenti del Mibact ci sono i 19 della Farnesina, 11 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (dove la fanno da padrone le concessioni facili di patenti di guida), 4 del Mef (dove spiccano due “furbetti del cartellino” licenziati), fino ad arrivare a chi, come il Mise, il ministero del Lavoro, il Miur, la Salute e l’Ambiente denuncia un solo provvedimento. Passando per la Presidenza del Consiglio e il Mipaaf che si fermano a tre procedimenti.
La fonte interna che non si trova
Note dolenti, come si diceva, sul fronte delle segnalazioni provenienti dall’interno dei ministeri: i procedimenti vengono avviati nella stragrande maggioranza da soggetti esterni che denunciano, o dalla stessa magistratura. Una tendenza a cui si è cercato di porre rimedio con le nuove norme sul whisteblowing approvate lo scorso novembre, che rafforzano la protezione per chi voglia denunciare colleghi corrotti tutelandone l’anonimato.
Norme che vengono ritenute da molti ancora insufficienti. Tra questi c'è sicuramente il grillino Di Battista e i suoi compagni di partito, che pur avendo votato a favore in Parlamento assieme a Pd, Lega e Fratelli d’Italia, nei giorni scorsi hanno portato la questione nel dibattito pre-elettorale, lanciando l’idea di infiltrare degli “agenti provocatori” dentro le amministrazioni pubbliche per stanare i corrotti. Mauro Bazzucchi