Roma - Il quesito referendario per abrogare le modifiche apportate con il Jobs Act all’art. 18 dello statuto dei lavoratori sui licenziamenti ha “carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo” e per questo “si palesa inammissibile”. E’ quanto sostiene l’Avvocatura dello Stato nella memoria depositata ieri per conto della Presidenza del Consiglio, in vista della decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum sul lavoro. Ecco dunque perché a parere del governo Gentiloni la consultazione promossa dalla Cgil (che ha raccolto oltre 3 milioni di firme a sostegno) contro una delle riforme chiave dell’esecutivo Renzi “si palesa inammissibile“. L'Avvocatura ha depositato tre memorie, una per ciascun quesito. La decisione della Corte Costituzionale è attesa per l’11 gennaio.
Che cosa dice l'Avvocatura dello Stato
- Primo quesito (reintroduzione della reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa e sua estensione alle imprese sopra i 5 addetti - “articolo 18”)
Il quesito "proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un'altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento; disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire". Invece "l'intento dei promotori del referendum - rileva l'Avvocatura - è quello di produrre una norma (la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti) che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal tipo di attività svolta". Ma "secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni".
- Secondo quesito (eliminazione dei voucher)
"L'abrogazione dal corpo del decreto legislativo 81/2015 dei tre articoli suddetti potrebbe determinare un vuoto normativo idoneo a privare di una compiuta e necessaria regolamentazione, tutte quelle prestazioni che - per la loro limitata estensione quantitativa o temporale - non risultino utilmente sussumibili nel paradigma normativo del lavoro a termine o di altre figure giuridiche contemplate dall'ordinamento vigente". Per l'Avvocatura "il proposito referendario non è tanto quello di sopprimere il 'voucher', quale strumento di remunerazione e disciplina del lavoro accessorio, ma di abolire lo stesso istituto del lavoro accessorio".
- Terzo quesito (responsabilità e controllo sugli appalti)
In questo caso l’Avvocatura sostiene che “l’eventuale esito positivo della consultazione condurrebbe a una condizione di incertezza normativa“. Infatti l’articolo 29 del decreto legislativo 276/2003 per cui è stato chiesto il referendum assume un carattere “speciale” rispetto all’art. 1676 del codice civile sui diritti degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente e l’abrogazione “porrebbe il problema del coordinamento tra le due disposizioni che (in caso di esito positivo del referendum), lungi dal porsi in rapporto di specialità, si limiterebbero a regolare la stessa fattispecie della prestazione lavorativa”.
Per approfondire:
Il Fatto quotidiano - Referendum Jobs Act, Avvocatura Stato: “Quesito su articolo 18 inammissibile perché propositivo e manipolativo”
La Repubblica - Referendum sul Jobs Act, l'Avvocatura di Stato contro la Cgil
Il Sole 24 Ore - Jobs act, Avvocatura di Stato: quesito su art. 18 è «manipolativo»