"Il post di Luca Morisi? Un esempio tipico di comunicazione postmoderna. In questo lui è molto bravo. Sia chiaro, una comunicazione dedicata al male totale…". Christian Raimo, 44 anni, scrittore, saggista, insegnante, editor, traduttore e dal 2018 assessore alla cultura indipendente nel III Municipio di Roma ("Sono di sinistra ma senza tessere di partito", chiarisce), di comunicazione postmoderna se ne intende parecchio.
Pochi giorni fa aveva postato un messaggio sulla sua pagina Facebook che aveva lasciato spiazzato più d’uno: "Dopo molta meditazione, ovviamente sofferta e articolata, delle ultime settimane e mesi ho deciso di votare Lega alle prossime europee", l’incipit.
Per poi proseguire: "E sto ragionando se sia opportuno prendere anche la tessera della Lega". Per poi passare ad elencare in maniera, a tratti ambivalente, le motivazioni che lo avrebbero portato alla scelta estrema, in totale controtendenza rispetto al suo pensiero e alla sua pratica militante, rigorosamente di sinistra radicale. E aggiungendo poi: "Salvini merita - anche obtorto collo, anche turandosi il naso - il voto alle europee, perché sta portando avanti un'azione politica che solo apparentemente è scriteriata e critpofascista".
Ma "da quando faccio l'assessore – ha poi aggiunto – ho capito che la sicurezza è importante, e che, per quanto autore di una comunicazione disastrosa del senso del suo lavoro, il ministro degli interni precedente Minniti non ha sbagliato nell'emanare le sue norme sulla sicurezza, come i daspo urbani, perché hanno effettivamente protetto l'Italia in un contesto internazionale che avrebbe potuto essere dirompente".
Un messaggio che ora definisce "sarcastico". Una sicura provocazione. Come a dire: "Ho scherzato".
Professor Raimo, cosa pensa del messaggio lanciato da Morisi che potrebbe incitare anche all’uso delle armi?
"In realtà nella sua comunicazione di impronta postmoderna, la comunicazione della Lega non vuole comunicare niente, ma esprime principalmente la simulazione di una logica. Nel post di Morisi di ieri ci sono dei messaggi contraddittori che però disegnano un unicum che porta a reazioni diverse. Di irritazione, di contrarietà, di dubbio. Ma alla fine resta il senso di un’ambivalenza perché non si capisce fino in fondo se si tratti di un messaggio provocatorio oppure di un messaggio per sostenere certe posizioni sulle armi".
Ma proprio questa ambiguità non rischia di ingenerare confusione, alimentare reazioni ambigue?
"Non c’è una reazione univoca a quel messaggio, non è possibile che ci possa essere, nonostante in qualche modo e in una certa misura il ministro dell’Interno debba o dovrebbe avere una comunicazione il più possibile istituzionale".
Ma perché la definisce una comunicazione postomoderna?
"Perché oggi ci troviamo in una fase in cui il linguaggio pubblico stresso lo è. Quel che comunichiamo spesso è assolutamente privo di conseguenzialità logica o di attinenza ai fatti, di corrispondenza alla verità. E ciò ci costringe a fare ogni giorno del debunking e cercare una logica in quel che dicono Trump e lo stesso Salvini. Ma, appunto, quel che comunicano è privo di conseguenzialità. Anche se è giusto e importante che se Salvini dice una stupidaggine sui numeri dei morti nel Mediterraneo noi diamo il dato vero e gli opponiamo un’altra verità".
Conseguenzialità. Cosa intende con questo termine? La foto di un mitra in mano ad una persona come Salvini può invece avere delle conseguenze enormi, non crede?
"Io parlo di conseguenzialità logica, intesa come consecutio. La frase è: ‘Ci stanno attaccando’, il mitra in mano, e poi l’augurio ‘Buona Pasqua’. Armati metaforicamente o sul serio? Attaccati da chi? Dalla magistratura? Se l’attacco è questo non si risponde armati… E poi, noi chi? Il partito? Il governo? Salvini? Morici? Il mitra nelle mani non ha una sola chiave di lettura. Che bisogna rispondere con le armi è chiaramente un messaggio che lascia a noi una serie diversa di chiavi di lettura. Ed è esattamente ciò che fa la comunicazione postmoderna. Certo che le conseguenze, se diamo alla parola questo valore etimologico, sono forti. Ma se io devo scomporre il messaggio mi trovo al tempo stesso a dovermi confrontare con un messaggio che produce un effetto illogico, violento, ma che non è interpretabile univocamente".
Sicuro?
"Io ritengo di sì, e la prova sta nel fatto che Facebook non lo può rimuovere. Il messaggio non è nelle parole di Salvini, bensì nelle reazioni. Anzi, nel totale delle reazioni. Il senso della frase si svela nell’effetto della comunicazione postmoderna".
Matteo Salvini alla festa dei Nocs della Polizia (Foto Castellano/Agi)
Salvini dice che se la sinistra protesta attaccandosi alle foto dei mitra o dei peluche con sua figlia, vuol dire che "stiamo lavorando bene". Lei cosa risponde?
"È una riposta in linea nell’analisi e nella retorica salviniana. Ma questa dichiarazione non ha alcun senso. Se però noi dobbiamo analizzare da un punto di vista logico le dichiarazioni di Salvini, l’unica cosa che possiamo è fare un continuo debunking, cioè le pulci, una correzione alle volte grammaticale, alle volte morale, alle volte istituzionale, eccetera. Questo può essere anche parte del nostro ruolo, e rispetto alla foto di un ministro con il mitra in mano che fa gli auguri di Pasqua io penso che chi ha un compito istituzionale deve sottolineare l’illeicità di quel comportamento; d’altra parte, il discorso di Salvini non può essere ridotto a una reazione indignata, istituzionale, a un messaggio che è nella maggior parte dei casi sciatto, confuso, un messaggio tipicamente postomoderno. La verità di quel messaggio sta nel suo effetto. Ed è un errore che si è già fatto con Berlusconi. La sua non era una comunicazione confusiva ma solo iperbolica. La sua era creazione pura e semplice di una realtà. Edulcorata o ottimistica, vitalistica".
E quella di Salvini?
"Quella di Salvini si muove su più piani. E per questo ha un consenso anche trasversale. Bisogna sempre porsi l’interrogativo su quale sia l’effetto e rispetto all’effetto ragionare. Si tratta sempre di due forme di linguaggio performativo. La politica è sempre un linguaggio performativo. Berlusconi è stato più facile da contrastare. Con Salvini è più difficile invece, e quindi bisogna cercare di essere paradossali da una parte e realistici dall’altra".
La stessa paradossalità che ha usato lei nel suo post…?
"Quel post era sarcastico. E una cosa che interessa molto a me, da intellettuale e da politico, è proprio - come diceva Gianni Rodari - garantire tutti gli usi della parola a tutti quanti. Oggi lo spazio pubblico ha delle diverse possibilità di esprimere le proprie parole, le proprie opinioni, perché il pubblico che viene ogni volta raggiunto da messaggi è un pubblico che viene pesantemente condizionato dalla forza dell’emittente. Ciò che produce inevitabilmente una polarizzazione del discorso. Quindi la riduzione di tutte le forme della complessità del linguaggio".