Dopo una "tregua" di un anno e mezzo, la legge elettorale è tornata ad essere il tema principale dell'agenda politica. Con l'approvazione del Rosatellum bis e la sua applicazione nelle elezioni del marzo dello scorso anno, la questione del sistema elettorale di Camera e Senato aveva infatti subito una fisiologica estromissione dall'attualità.
Fin quando, contestualmente all'insediamento del Conte II e della nuova maggioranza giallorossa, è emersa la volontà di una parte significativa del Pd di associare al taglio dei parlamentari invocato da M5s un ritorno a un sistema proporzionale puro che, a sua volta, ha provocato la reazione del leader leghista Matteo Salvini, pronto a ricorrere allo strumento referendario per abrogare la parte proporzionale del Rosatellum.
Che il tema fosse scomparso dai radar, lo si può constatare facilmente consultando la lista delle proposte di legge presentate in merito tra Camera e Senato in questo primo scorcio di legislatura: ufficialmente 13, delle quali, però, solo tre affrontano direttamente il tema del sistema elettorale, mentre per le altre si tratta di questioni collegate, come ad esempio la composizione delle sezioni o i requisiti per l'elettorato attivo e passivo.
Partendo dalle più recenti e risalendo fino al marzo del 2018, la prima proposta di riforma della legge elettorale è quella del transfuga grillino Andrea Cecconi, ora in forza alla componente Maie del gruppo Misto della Camera. Il testo della proposta, presentata assieme all'altro esponente del Maie Antonio Tasso, però, non è ancora consultabile ma Cecconi, che aveva seguito in commissione nella scorsa legislatura il dossier legge elettorale assieme a Danilo Toninelli, in passato non si è mai espresso con toni favorevoli a un sistema interamente maggioritario e aveva aspramente criticato il Rosatellum bis.
Un'altra proposta di riforma è quella (tra le primissime della legislatura) avanzata il 23 marzo del 2018 dalla leader di FdI Giorgia Meloni, che chiedeva di intervenire sul Rosatellum bis, aggiungendo un premio di maggioranza del 51%, indipendentemente alla coalizione o alla lista che si fossero aggiudicati almeno il 37% dei suffragi. Una proposta fatta a caldo, quando il centrodestra con la formazione "classica" composta da Lega, FI e FdI non era riuscito, alle ultime elezioni, ad avere la maggioranza assoluta dei seggi pur avendo di fatto prevalso sulle altre forze.
Praticamente in contemporanea a quella di Giorgia Meloni, è arrivata la proposta del deputato e costituzionalista Dem Stefano Ceccanti, che ha al suo attivo quello che risulta finora il progetto più ambizioso di riforma costituzionale della XVIII legislatura, comportando - se approvata - l'importazione più o meno integrale in Italia del sistema francese, compreso il doppio turno di collegio e, soprattutto, il semipresidenzialismo, con l'elezione diretta del Capo dello Stato. Una parte che non dispiacerebbe di certo ai colleghi di Lega e FdI, e che forse farebbe storcere la bocca alla maggior parte dei compagni di partito di Ceccanti che guardano invece al sistema tedesco e al parlamentarismo.
Si chiude così il capitolo delle (poche) proposte vere e proprie di riforma elettorale. Quelle dei 5 stelle Danila Nesci alla Camera e Laura Mantovani al Senato, infatti, intervengono soprattutto sui requisiti per esercitare la funzione di presidente di sezione elettorale e su questioni come la trasparenza delle procedure e - letteralmente - dell'urna dove di depositano le schede.
Entrambi le proposte risultano all'ordine del giorno della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Ci sono poi altre cinque proposte, presentate, oltre che da Giorgia Meloni e Stefano Ceccanti - particolarmente attivi su questo fronte - dal presidente M5s della commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia, dalla deputata dem Vincenza Bossio e dal senatore pentastellato Gianmarco Corbetta, attinenti ai requisiti per l'elettorato passivo e attivo, in particolare ai limiti d'età.
Proposte che convergono sostanzialmente sull'esigenza di uniformare il corpo elettorale di Camera e Senato, portando da 25 a 18 l'età minima per poter votare per la Camera alta e da 40 a 25 l'età minima per essere eletti senatori.