Matteo Salvini e Luigi Di Maio chiedono un 'supplemento di indagine' al Colle. Serve più tempo (si ipotizzano anche 10 giorni) per verificare se la ripresa delle trattative sul governo possa portare buoni frutti.
Dopo il via libera di massima di Silvio Berlusconi, che pone Forza Italia all'opposizione di un eventuale governo Lega-M5s - niente appoggio esterno, quindi - ma mette in salvo l'alleanza con il Carroccio.
Le parole di Berlusconi sbloccano un primo nodo che frenava la trattativa giallo-verde. E Di Maio annulla gli impegni in agenda: "Con Salvini. Ci sederemo al tavolo e inizieremo a parlare dei temi per il Paese, poi parleremo dei nomi. La cosa importante è il contratto di governo. Ci fa piacere che abbia prevalso la responsabilità", afferma il capo politico M5s.
Salvini ringrazia il leader di Forza Italia ma sottolinea che "rimane da lavorare su programma, tempi, squadra e cose da fare. O si chiude veloce, o si vota. Per me sarebbe un onore guidare il Paese".
La strada resta in salita
La strada è ancora in salita. E nella sua nota il Cavaliere non ne fa mistero. Sceglie di restare fuori, di non metterci la faccia, ma avverte: se salta tutto io non sarò più l'alibi del fallimento. Del resto, gli stessi Salvini e Di Maio sono consapevoli del fatto che nulla può essere dato per scontato.
I due leader sono tornati a vedersi, in un faccia a faccia a Montecitorio che, però, non è affatto risolutivo: restano ancora nodi da sciogliere, a partire dalla casella del premier fino a quelle di alcuni ministeri 'delicati', come l'Economia, il Lavoro, gli Interni e lo Sviluppo economico (secondo alcune fonti azzurre anche la Giustizia), così come la guida di commissioni 'chiave'.
Caselle ritenute importanti anche dal 'terzo incomodo' Berlusconi, e sulle quali il leader di Forza Italia - spiegano fonti di centrodestra - vuole dire la sua e incassare garanzie.
Il placet del Cavaliere, in ogni caso, è il primo step utile per il superamento dello scoglio che, finora, aveva impedito una vera intesa tra Salvini e Di Maio. Innanzitutto perché il segretario della Lega aveva sempre posto come conditio sine qua non la non rottura del patto con l'ex premier.
Che questo fosse per Salvini un punto imprescindibile è chiaro da tempo e lo scandisce lo stesso Salvini dopo il vertice a due con Di Maio: "Qualunque cosa accada non si rompono alleanze e non si tradisce il patto con gli italiani. Non si rompe l'alleanza con FI, questo è un pre-requisito".
Ma nonostante la mossa del Cavaliere la quadra non è ancora stata trovata: "Sì, ci sono delle possibilità", confessa Salvini, "ma non gioco i numeri al lotto, devo prima parlare con Di Maio e con Berlusconi, e al momento non c'è una risposta definitiva da nessuno dei due". Il leader del Carroccio, riferiscono fonti del centrodestra, si era poi sentito con l'ex premier, quando però la trattativa con Di Maio sembrava essersi inceppata sul nome del premier e di altre caselle. Che qualcosa si stesse muovendo si intuiva già dalla mattina di mercoledì, quando Salvini ha ribadito per l'ennesima volta di non darsi per vinto, "fino all'ultimo minuto ci proverò, a costo di sembrare uno che pecca di ottimismo e di fiducia".
Segnali di svolta
Non passa un'ora che arriva un segnale importante, e lo dà Di Maio in persona: per la prima volta il leader pentastellato toglie il veto su Forza Italia e spiega che Silvio Berlusconi è il meno responsabile di questo stallo politico. Quello dei 5 stelle "non è un veto su Berlusconi, ma la volontà di dialogare con la Lega. Noi vogliamo fare un governo che preveda due forze politiche e non quattro", afferma. È il segnale che molti aspettavano e infatti poco dopo Di Maio e Salvini si vedono alla Camera. Quasi in contemporanea dagli azzurri arriva una apertura: "Forza Italia non parteciperà con un appoggio esterno. Ma il che non vuol dire che non si possa guardare a questa esperienza di un nostro socio strutturale da 20 anni con critica benevolenza. Una specie di astensione benevola", afferma Giovanni Toti. Quindi tocca allo storico alleato del Cavaliere, Umberto Bossi, metterci una buona parola: "Berlusconi faccia partire un governo M5s-Lega".
Il pressing sull'ex premier si fa insistente, i gruppi azzurri - un pò tutti i parlamentari si sono riuniti tra Camera e Senato - fanno quadrato e affidano al leader la decisione, ma nel partito cresce la voglia di consentire la nascita del governo: "Se vogliono fare il governo, lo facciano. Del resto anche nel 2011 e nel 2013 la Lega non votò il governo Monti nè il governo Letta, ma l'alleanza rimase", dice ad esempio Renato Brunetta. E Paolo Romani aggiunge: "C'è qualcuno che ha detto che ha voglia di cimentarsi e ho l'impressione che questa possibilità vada sperimentata fino in fondo".
Il lasciapassare di Berlusconi
Insomma, mentre vanno avanti le trattative tra M5s e Lega, entrambi i 'contraenti' attendono una parola chiara da Berlusconi. Che arriva nella serata di mercoledì. E se da una parte il Cavaliere non pone veti né innalza muri, dall'altra avverte: se il tentativo di fare un governo o anche dopo, una volta nato, l'esecutivo dovesse andare a sbattere non sarà certo colpa di Forza Italia o mia.
"Da parte nostra non abbiamo posto e non poniamo veti a nessuno, ma - di fronte alle prospettive che si delineano - non possiamo dare oggi il nostro consenso ad un governo che comprenda il Movimento Cinque Stelle, che ha dimostrato anche in queste settimane di non avere la maturità politica per assumersi questa responsabilità", premette Berlusconi, che per un certo verso lascia il cerino in mano a Salvini, quando dice che se c'è una forza della coalizione che vuole provare a fare il governo con i 5 stelle bene, "non sta certo a noi porre veti o pregiudiziali".
Ma, avverte, "in questo caso non potremo certamente votare la fiducia, di più a noi non si può chiedere, ma valuteremo in modo sereno e senza pregiudizi l'operato del governo che eventualmente nascerà, sostenendo lealmente, come abbiamo sempre fatto, i provvedimenti che siano in linea con il programma del centro-destra e che riterremo utili per gli italiani".
Quindi, la chiosa: "Se questo governo non potesse nascere, nessuno potrà usarci come alibi di fronte all'incapacità - o all'impossibilità oggettiva - di trovare accordi fra forze politiche molto diverse. Tutto ciò non segna la fine dell'alleanza di centro-destra".