Quando tutto lasciava pensare a una conclusione in discesa delle trattative per il Conte-bis, sono arrivate le parole del capo politico M5s, Luigi Di Maio, a riportare tutto nell'incertezza.
Al termine dell'incontro nella Sala dei Busti di Montecitorio col premier incaricato, Di Maio ha concluso le proprie dichiarazioni con quello che ha tutto il sapore di un aut aut ai Dem: "Abbiamo presentato alcuni punti al presidente Conte - ha detto - che riteniamo imprescindibili. Se verranno accolti bene, altrimenti meglio andare al voto e, aggiungo, anche presto". Un ultimatum accolto con "sconcerto" dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti. E ad alzare la tensione contribuisce un post sul Blog delle Stelle, dove si chiarisce che il verdetto degli iscritti a Rousseau sarà vincolante.
"Patti chiari, amicizia lunga", avverte Zingaretti su Twitter, "stiamo lavorando con serietà per dare un nuovo governo all'Italia, per una svolta europeista, sociale e verde ma basta con gli ultimatum inaccettabili o non si va da nessuna parte". Il segretario dem ha successivamente annullato un incontro previsto con Di Maio proprio a seguito delle sue dichiarazioni.
Le ragioni del diktat
Come capo politico del M5s Luigi Di Maio ha bisogno di 'risvegliare' la base attorno alle battaglie care al Movimento, come taglio eletti, no trivelle e conferma della linea sull'immigrazione. Tanto più dopo l'annuncio che gli iscritti saranno chiamati, con il voto su Rousseau, alla decisione finale sul governo coi dem. Così, da fonti parlamentari del M5s, viene letto il duro discorso dai toni ultimativi pronunciato dal vice premier pentastellato dopo le consultazioni con Giuseppe Conte.
Secondo le stesse fonti, i diktat messi da Di Maio per esempio sul decreto sicurezza bis - va bene accogliere i rilievi di Sergio Mattarella ma non si parla in alcun modo di abolire quest'ultimo - avrebbero come destinatario anche la parte più ortodossa del M5s, più vicina alla posizioni dei dem e di Liberi uguali che pretendono una revisione completa dei decreti voluti da Matteo Salvini. Un'altra lettura che circola, anche in ambienti parlamentari pentastellati, è che la mossa di Di Maio sia finalizzata a riconquistare un ruolo centrale nella trattativa condotta, negli ultimi giorni, direttamente dal premier incaricato con il segretario dem Nicola Zingaretti.
Di Maio: "Siamo stanchi di parlare di poltrone"
"Qui non è questione di ultimatum, qui il punto è che siamo stanchi di sentir parlare tutti i giorni in ogni trasmissione di poltrone e toto-ministri. L'ho detto e lo ripeto: contano i programmi, le soluzioni, le idee. Il M5s non svende i suoi principi e i suoi valori su ambiente, lavoro, imprese, famiglie. Qui serve concretezza. Poche chiacchiere e basta slogan. Bisogna lavorare per gli italiani e bisogna farlo in fretta. Noi abbiamo 20 punti. E vogliamo che entrino nel programma di governo", dice poi Di Maio in una nota.
"La delegazione del Pd, indicata dal segretario Zingaretti e rappresentata da Andrea Orlando e Dario Franceschini, ha partecipato oggi pomeriggio ad un incontro richiesto dal presidente incaricato con i rappresentanti del Movimento 5 Stelle e con lo stesso premier Conte. L'incontro è servito a porre l'esigenza di un chiarimento sulle dichiarazioni di Luigi Di Maio, al termine delle consultazioni, come precondizione per proseguire nel percorso avviato negli scorsi giorni", è la risposta dell'ufficio stampa del Nazareno.
"Non dare per scontata la nascita del governo"
Pochi minuti prima dell'exploit che ha rimesso in discussione una trattativa che sembrava chiusa, Di Maio aveva sostanzialmente anticipato la dura chiosa del discorso, invitando a non dare per scontata la formazione del governo giallorosso: "Oggi si potrebbe dar vita a un Conte bis - aveva detto - uso il condizionale perché sono stato molto chiaro: o siamo d'accordo a realizzare i punti del programma o non si va avanti".
Ma tutte le dichiarazioni del capo politico grillino sono state improntate a una certa rigidità, almeno nei toni, anche nelle parti non incompatibili con le richieste della controparte Dem. A partire dal dl Sicurezza, per il quale il Pd ha richiesto sostanziali modifiche che vadano nella direzione indicata nei rilievi del Capo dello Stato: "Riteniamo che non abbia alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza - ha detto Di Maio - vanno tenute in considerazioni le osservazioni del capo dello Stato ma senza modificare la ratio di quei provvedimenti. Ho detto - ha aggiunto - che non rinneghiamo questi 14 mesi di governo".
Un irrigidimento, quello del vicepremier, che non ha mancato di suscitare reazioni negative in casa Pd, a strettissimo giro: la prima è giunta con un tweet del vicesegretario Andrea Orlando, che ha definito "incomprensibile" la conferenza stampa di Di Maio, chiedendogli con "chiarezza" se "ha cambiato idea". Anche i toni usati per i decreti sicurezza non sono state gradite ad alcuni settori Dem, in primis a Matteo Orfini, che è tornato a reclamare con forza l'abrogazione totale dei provvedimenti, in luogo di semplici modifiche.
Prima di Di Maio, a incontrare Conte era stata la delegazione del Pd, guidata dal segretario Nicola Zingaretti, che aveva incentrato le proprie dichiarazioni sui capisaldi programmatici che a suo avviso dovrà avere il prossimo esecutivo. Zingaretti ha ribadito la necessità del "taglio delle tasse sui salari medio bassi come elemento di giustizia" e per il rilancio dei consumi" e del lavoro "con un vero e proprio piano di investimenti pubblici e incentivi per investimenti privati, le infrastrutture green e per industria 4.0", oltre che a una "rivoluzione del concetto di diritto allo studio, con la gratuità dall'asilo all'università per i redditi medio-bassi".
il Pd insorge
Ai piani alti del Nazareno, dove Nicola Zingaretti è tornato dopo il colloquio con Conte, filtra "sconcerto" per le parole di Luigi Di Maio che è tornato ad evocare le urne nel caso non vengano recepiti tutti i punti del programma M5s. Eppure, commentano alti dirigenti dem, si era arrivati a un accordo con il M5s, firmato dai capigruppo Patuanelli e D'Uva. "Viene il sospetto che Di Maio non abbia letto quel documento", si commenta ancora.
Come nel Gioco dell'Oca, le pedine in campo per la formazione del governo sembrano essere tornate al via. La metafora è della vice segretaria del Pd, Paola De Micheli, che da voce all'irritazione di tutto il partito, Zingaretti in testa, per il "rilancio" di Luigi Di Maio. Uno sconcerto che attraversa tutto il partito, non solo il quartier generale, e che arriva fino alle prime linee renziane che leggono l'atteggiamento del capo M5s come "un tentativo di alzare la posta del giuoco facendo leva sul fattore tempo".
Nei minuti immediatamente successivi all'esternazione del leader pentastellato era circolata la voce di un prossimo incontro tra lo stesso Di Maio e il vice segretario Andrea Orlando, da tenere alle 17. Voce però non confermata dai canali ufficiali. "Nessun incontro è in programma", fanno sapere dal Pd.
E se in una nota il M5s fa sapere che il problema non sono le poltrone, fra i dem si invita a guardare proprio in casa del Movimento: "Il nervosismo di Di Maio è legato alla paura di perdere il controllo del suo partito", è la lettura che viene data. Un timore alimentato anche dal fatto che, ormai da giorni, il segretario Zingaretti ha rinunciato a trattare direttamente con l'omologo pentastellato preferendo guardare direttamente a Conte. L'irritazione dem scorre anche sui social network: "Se Di Maio vuole tornare al voto, lo dica chiaramente", scrive Orlando su Twitter. "Questa manfrina di minacce e ultimatum è inspiegabile. Conte chiuda la lista nel weekend e si presenti ai mercati lunedi' mattina con un governo di qualità già fatto. Che cosa aspetta ancora?", rincara Bonifazi.
"Cambio idea? Parlare di ambiente e chiedere un governo pro impresa significa aver cambiato idea? Chiedere di abbassare le tasse significa cambiare idea? Ribadiamo: contano le soluzioni, non le poltrone. E qui il punto e' un altro: noi vogliamo cambiare veramente il Paese", è la replica di fonti M5s alla reazione del Pd.
"Rousseau parte integrante delle nostre decisioni"
Un post sul Blog delle Stelle chiarisce poi che il verdetto degli iscritti a Rousseau sarà vincolante, per fugare i dubbi circolati nei giorni scorsi: "I gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle hanno un ruolo importante e stanno lavorando intensamente in questi giorni per definire un possibile programma di governo, nell'esclusivo interesse degli italiani, poi la parola passerà agli iscritti certificati della piattaforma Rousseau e ci atterremo, com'è ovvio, alla loro decisione", legge sul Blog delle Stelle.
"Il voto degli iscritti del Movimento 5 Stelle sulla piattaforma Rousseau conta", legge sul Blog delle Stelle, "non è un vezzo, ma uno strumento che la nostra comunità politica si è dato per far arrivare nelle istituzioni la voce dei cittadini - si sottolinea - Ricordiamo a chi critica questo strumento che ogni eletto del Movimento, dai Comuni all'Europarlamento passando per Regioni e Camere, è un portavoce di queste istanze. Rousseau conta perché è parte integrante dei nostri processi decisionali".
"È stato così con l'elezione del presidente della Repubblica - si rammenta - è stato così quando si è trattato, poco più di un anno fa, di approvare il contratto di governo per la nascita dell'esecutivo uscente e sarà così quando, tra qualche giorno, si tratterà di votare in relazione al prossimo eventuale governo".
"Il voto su Rousseau rappresenta il volere di coloro che ci mettono la faccia ogni giorno senza chiedere nulla in cambio e si impegnano con passione. La stragrande maggioranza, inoltre, sta fuori dalle istituzioni", si legge. "Queste persone, questi iscritti, sono l'anima del Movimento 5 Stelle e dunque il loro orientamento prevalente diventa, com'è naturale che sia, l'orientamento di tutto il Movimento".
"Per questo, nel pieno rispetto di tutte le prerogative e procedure costituzionali, il nostro organo decisionale finale nelle fasi più importanti per il destino del Paese rimane e rimarrà sempre lo stesso: gli iscritti - si precisa -. Probabilmente non siamo ancora abituati a quella che Gianroberto Casaleggio definiva 'una nuova centralità del cittadino nella società'. 'È una rivoluzione prima culturale che tecnologica, per questo, spesso, non viene capita o viene banalizzata', diceva ancora Gianroberto".
"Il nostro obiettivo è proprio quello di praticare e diffondere questa rivoluzione culturale. Quanto più conterà Rousseau, tanto più conterà la voce delle italiane e degli italiani", si conclude.