Il segno è già stato passato da un pezzo e Nicola Zingaretti lo fa capire ai ministri e sottosegretari dem che riunisce alla Camera. È un gabinetto di guerra al quale partecipano anche i capigruppo, Andrea Marcucci e Graziano Delrio. Ma soprattutto i ministri competenti per la manovra economica, con Roberto Gualtieri in testa.
L'ordine del giorno, d'altra parte, è proprio la legge di Bilancio, ma il discorso vira immediatamente sull'atteggiamento degli alleati di governo, Luigi Di Maio e Matteo Renzi. È in particolare il secondo, con un Tweet di primo mattino, a scuotere il vertice. "Meglio se non tiri troppo la corda con questi giochini", dicono alcuni ministri dem, "perché stavolta potrebbe spezzarsi". A riportare all'attualità la parola 'crisi' è l'annuncio via Twitter fatto da Renzi sulla cancellazione dei provvedimenti riguardanti le auto aziendali, con la rimodulazione dei benefit.
"Nei giorni scorsi ci hanno accusato di essere sfasciacarrozze perché chiedevamo di cancellare provvedimenti sbagliati come l'aumento delle tasse sulle auto aziendali. Adesso che questa misura sbagliata è stata cancellata potremmo toglierci tanti sassolini dalle scarpe e chiedere che fine hanno fatto quelli che una settimana fa ci insultavano. La tassa sulle auto aziendali non ci sarà. Avanti cosi'!". Sulle misure della manovra da modificare, da rimodulare o addirittura da cancellare "non c'è nulla di deciso", precisano tuttavia fonti di governo che invitano tutti a "evitare ansie da prestazione, che sono deleterie". L'esecutivo ha ben preciso il quadro della situazione e le limature da apportare al testo, ma l'appello ai soci di maggioranza è alla pazienza.
Prima di agire, viene fatto notare, si dovrà concludere il ciclo di audizioni - che inizierà domani e proseguirà fino a lunedì prossimo - e ascoltare, per rispetto del Parlamento, il parere di tutti i soggetti interessati. Solo all'esito del confronto si potrà avviare "un'istruttoria tecnica e aprire tavoli politici" dove prendere le eventuali decisioni. I tempi? "Certamente rapidi, ma bisogna fare le cose per bene", viene sottolineato.
L'uscita di Renzi, tuttavia, ha l'effetto di un terremoto sui dem che si dicono "insofferenti" rispetto alle continue "provocazioni" dell'ex compagno di partito. Che Matteo Renzi stia cercando in tutti i modi di mettersi al centro dello scacchiere, è molto piu' di un sospetto per i dirigenti Pd. Una ulteriore prova, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, è stata data ieri con la mozione di Raffaella Paita per il ripristino dello scudo fiscale per ArcelorMittal.
Una scelta sulla quale la maggioranza non è compatta: una bella fetta di parlamentari M5s non la voterebbe e perplessità si registrano anche in seno al Partito Democratico. Se quella mozione dovesse arrivare al voto, le conseguenze in Parlamento sarebbero imprevedibili. E c'è già chi, tra i parlamentari alla Camera, evoca la mozione sulla Tav risultata fatale per il Conte I. Zingaretti, però, lo ha già detto: "Il Pd non è disposto a governare fra nemici", aggiungendo una frase che suona premonitrice: "Il governo va avanti se fa le cose per gli italiani, altrimenti perde la sua ragione d'essere". Una formula utilizzata nel recente passato anche da Matteo Salvini, prima che Conte rassegnasse la sue dimissioni. E in un passato più remoto, dallo stesso Matteo Renzi, prima del passaggio della campanella di Palazzo Chigi dalle mani di Enrico Letta.