Qualcosa si muove, sotto il cielo della politica, anche se a ogni passo avanti se ne registra uno indietro. Alla vigilia del secondo giro di consultazioni, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sentono di nuovo al telefono e decidono la candidatura alla presidenza della Commissione speciale della Camera, dove siederà il leghista Nicola Molteni.
E domani si riunirà un vertice di centrodestra. Per il resto le dichiarazioni dei due leader segnano una serie di accelerazioni e frenate, che in serata si riassumono di nuovo in un no del M5s a un governo con Silvio Berlusconi e in un no della Lega a un incarico al buio. Ma Di Maio assicura che dei passi avanti sono stati fatti e che domani li illustrerà a Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato attende nello Studio alla vetrata tutti i leader e i capigruppo delle diverse forze politiche, dalle 10 fino alle 18,30.
Il giorno dopo si dedicherà ad ascoltare i presidenti delle Camere e il presidente emerito Giorgio Napolitano. Poi, se non avrà appurato nessuna novità rispetto al primo giro di consultazioni, si affaccerà di nuovo nella Loggia d'onore per spiegare agli italiani che non ha potuto registrare nessun passo avanti. E molto probabilmente rivolgerà anche un appello alla responsabilità rivolto ai partiti, facendo presente che il Paese attende un governo.
Ma non convocherà un nuovo, terzo, giro di consultazioni, per sentirsi magari ripetere per la terza volta la stessa filastrocca. Darà qualche giorno di tempo, fino alla settimana successiva, chiedendo ai partiti di segnalargli autonomamente eventuali novità. In assenza delle quali assumerà lui stesso delle decisioni. Una forma di moral suasion, anche solo l'annunciare questa decisione, che potrebbe di per se stessa spingere i partiti a prendere il toro per le corna, giungendo a un accordo fino a un momento prima impensabile, per evitare un preincarico che rischia di bruciare qualcuno o un incarico a una figura istituzionale che certifica l'incapacità di chi ha avuto successo di trasformare il successo in un governo per il Paese. Va infatti ricordato che cinque sono gli strumenti in mano al Capo dello Stato in frangenti come questo: scioglimento delle Camere, consultazioni, incarico pieno, preincarico e mandato esplorativo.
I primi tre strumenti sono stati assolutamente esclusi al Colle, rimangono gli ultimi due. In base a una valutazione della situazione il Capo dello Stato potrà dunque affidare o un preincarico a un esponente politico (più probabile Salvini), che cerchi di coagulare intorno al suo programma una maggioranza, o un mandato esplorativo a una figura istituzionale (Casellati o Fico), sempre per verificare se esista una compagine di forze pronta a sostenere l'esecutivo. È ovvio che il preincarico non è ben visto da Salvini, ma il Capo dello Stato deve sperimentare tutte le possibili soluzioni: sia per cercare di spronare i partiti a superare i veti reciproci, sia perchè solo percorrendo tutte le strade dopo ogni passaggio potrà spiegare e giustificare il successivo.
Tutto quello che verrà da quel punto in poi è ancora da studiare, da verificare. Anche solo immaginarlo oggi è del tutto prematuro, anche perché a volte le soluzioni nascono dai processi che vengono innescati. Di certo c'è che prima della fine di giugno il Presidente vuole che il Paese abbia un governo in carica. E dalla prossima settimana, se non lo avranno fatto i partiti, comincerà a usare gli strumenti che sono a sua disposizione.