No all'invio di altre armi e altri militari, sì al dialogo e al confronto come unici veri strumenti per risolvere la crisi libica. Nella sua visita ad Algeri, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte rivendica "l'intensa azione diplomatica" dell'Italia e si dice "favorevole" all'ipotesi che sarà "contemplata" a Berlino di portare in Libia un contingente di interposizione di pace europea, "ma dobbiamo confrontarci e discutere e cercare di indirizzare verso una soluzione politica. Una volta accantonata l'opzione militare potremo valutare le possibilità migliori".
Nel giorno in cui il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, torna a parlare della Libia, annunciando l'inizio dell'invio di truppe turche, il premier italiano "fortemente preoccupato per le ripercussioni che dallo scenario libico possano derivare per l'intera regione mediterranea" afferma con forza di "non poter più accettare ulteriori armi e militari, perché questo è il momento del dialogo e del confronto".
L'opzione militare è, secondo Conte, "destinata al fallimento e non ha alcuna prospettiva di offrire una soluzione stabile e duratura". Questa strada potrebbe "soltanto arricchire la Libia di armi, allontanando una soluzione pacifica e la prospettiva di benessere e ricchezza".
La cosa più importante è che si arrivi domenica alla conferenza di Berlino a un "cessate il fuoco condiviso da tutti gli attori, duraturo, non momentaneo e che questo possa aprire una prospettiva di dialogo politico", così la riunione sarebbe un successo, spiega.
Un ulteriore risultato positivo dei colloqui sarebbe l'avvio del "track sulla sicurezza" quei "percorsi riformatori che contribuiranno a dare un quadro stabile da punto di vista economico e sociale". Conte definisce "un ottimo segnale" la presenza di Haftar a Berlino in quanto "senza la partecipazione degli attori libici, una conferenza internazionale sarebbe compromessa perché non è accettabile secondo l'approccio italiano che si possa discutere del futuro della Libia senza gli attori libici. Non possiamo pensare che la comunità internazionale possa, in modo impositivo e arrogante, decidere il futuro della comunità libica".