“La resa del governo: decide il voto”. Il titolo de Il Messaggero è forse quello che meglio fotografa la situazione di Palazzo Chigi e dintorni. Per il momento, però, ha deciso Mattarella, anche se il premier Conte assicura che il Quirinale non abbia “esercitato ‘un sindacato’ e ‘una censura preventiva’ sul testo del decreto sicurezza, e comunque nella nuova versione ‘le criticità sembrano superate’” come riporta Il Fatto. Ma è pur vero che il Presidente della Repubblica ha surgelato il decreto e convinto il premier Conte a inserirlo nell’agenda del primo Consiglio dei ministri utile dopo il voto del 26 maggio. Ed è la sintesi della giornata politica di ieri.
Mina disinnescata, situazione sbloccata ma – paradossalmente – congelata. Siamo agli ossimori di governo. Quindi ci si affida alle elezioni Europee per misurare i muscoli e decidere eventuali nuovi equilibri. Perché il tema è ormai questo. Chi prevarrà nelle urne avrà voce in capitolo. E la profezia biblica evocata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, in un colloquio con l’edizione cartacea del Corriere della Sera, dopo che la mattina ha parlato davanti alla stampa estera, ne è la riprova: “In giugno verrà la grandine. E i più deboli ed esangui saranno i primi a cadere...”.
E non è solo un presagio elettorale. Infatti il quotidiano di via Solferino fa notare che “è difficile capire se il presagio si riferisca soltanto alle decisioni che verranno prese nella Commissione Ue: il 5 del prossimo mese entrerà nel vivo la discussione sulla procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per eccesso di debito”. Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle? Giorgetti continua a vedere nero e ribadisce un concetto, “ed è la frase di giornata, che ‘l’affiatamento va ritrovato’” tra M5Stelle e Lega. Altrimenti – come dire diversamente? – si va a sbattere.
E in un secondo colloquio con il quotidiano della capitale, il Messaggero, Giorgetti dice, apertis verbis, che “è naturale che queste elezioni serviranno anche a pesarci, a capire il gradimento degli italiani nei confronti dei due partiti di governo. Ed è naturale che se la Lega uscirà dalle urne come primo partito, tanti dossier verranno sbloccati partendo da questo presupposto, di sicuro tenendone conto”.
Domanda il cronista: chi vincerà guiderà sui temi bloccati? Risposta del sottosegretario: “Certo, sarebbe strano il contrario o no? Chi perde dovrebbe guidare? A questo punto mi auguro che da lunedì si andrà spediti su tanti argomenti che finora sono stati rimandati”. Insomma, “da lunedì ci sarà chiarezza”.
Anche se nel colloquio con il Corriere, Giancarlo Giorgetti appare più cauto. Riferendosi al clima dell’assemblea di Confindustria che ha accolto con un’ovazione il capo dello Stato e riservato un entusiasmo più freddo al premier Conte e al suo vicepremier Di Maio, il plenipotenziario leghista dice: “Lo vedete? C’è un clima come quello appena prima dell’arrivo del governo Monti...”. Insomma, serve il cambiamento, chiosa il cronista: “Perché se le cose non cambiano davvero, allora sì che il cambiamento rischia di diventare rivoluzionario” è il presagio del sottosegretario. “Per questo, Giorgetti non vuole sentir parlare di risultati mirabolanti alle Europee: ‘Trenta per cento della Lega? Se così fosse, offro champagne a tutti’. E tantomeno di rimpasti post voto: ‘Di questi discorsi da Prima Repubblica, di discussione sulle poltrone, a nessuno frega zero’”.
Però davanti alla stampa estera il sottosegretario leghista a Palazzo Chigi si lascia andare ad uno sfogo: “Così non si può andare avanti, Salvini per sua natura nel Palazzo non ci vorrebbe stare. Ma se arriva il plebiscito credo che dovrà farsi carico dell’onere e dell’onore di rivestire un ruolo superiore rispetto a quello ricoperto oggi”. “È l’avviso di sfratto” annota il quotidiano diretto da Marco Travaglio, “e un gradino sopra il vicepremier c’è solo la poltrona dell’avvocato pugliese. Una soluzione ‘alla Renzi’, insomma, che defenestrò Letta senza passare per le urne. Anche se ufficialmente il sottosegretario nega”. “Qualche ora dopo, stavolta lontano dai riflettori – riferisce ancora il quotidiano – Giorgetti si spinge oltre. ‘Sono pronto a fare un passo indietro e a dimettermi se le cose non cambieranno, se il governo non comincerà a fare le cose che la gente si aspetta’”.
“Il ragionamento che fa il sottosegretario è quasi brutale – si legge in un retroscena de la Repubblica dal titolo “Giorgetti minaccia l’addio. Salvini vuole un altro premier” -: ‘Nelle ultime tre settimane qualcosa non ha funzionato. Lo confermano anche i sondaggi. Se diventiamo primo partito, nessuno potrà trascurare questo dato di fatto. Con il 30 per cento, pesi di più rispetto a chi ha il 25. Dovremo tenere conto delle opinioni del Paese reale che si è stancato e vuole cambiare’”.
“Nulla insomma sarà più come prima dal 27 maggio, a un anno dal battesimo dell’esecutivo. E non basterà un rimpasto a salvarlo. Lo mette in chiaro lo stesso Matteo Salvini parlando ai suoi supporter nel video serale su Fb. ‘Non me ne frega nulla, dopo il voto, di chiedere ministri, sottosegretari o poltrone’. Piuttosto, continua, la Lega rivendicherà subito, da primo partito, la casella del commissario europeo che spetta all’Italia: ‘Dovrà occuparsi di controllare i confini e gestire le espulsioni’. Non un commissario economico chiede dunque il vicepremier, ma il responsabile delle politiche per le migrazioni” conclude il quotidiano di Largo Fochetti a Roma.
Alle urne, dunque, l’ardua sentenza. “Poi, attraverso questo stesso voto, diamo un giudizio implicito sul governo nazionale che è in carica da un anno, sui due partiti che lo sostengono in un’alleanza rissosa, sulle opposizioni di destra e di sinistra che cercano un’alternativa al momento inesistente. Come se la politica, non riuscendo a sciogliere i suoi nodi, aspettasse il responso delle urne europee per tagliarli di netto” analizza Ezio Mauro in un editoriale dedicato al voto europeo e “il rischio della post democrazia”.