“Non è la prima volta. Solo in questa legislatura c’è stato il decreto dignità, che conteneva una vera dichiarazione di guerra al gioco. Vietava la pubblicità, ma allo stesso tempo copriva tutte le misure con un aumento della tassazione del settore”. In un’intervista a Il Giornale, Geronimo Cardia, presidente di Acadi, l’Associazione dei Concessionari dei Giochi Pubblici aderente a Confcommercio, lamenta l’accanimento del governo per il prelievo fiscale sul mondo dei giochi e le conseguenze che possono comportare le nove tasse, come ad esempio “la messa in sofferenza del comparto” che “può comportare procedure di mobilità da parte delle aziende che avranno un impatto diretto dalla riduzione dell’aggio”.
Dice ancora Cardia che poi “lo stesso provvedimento annunciava il riordino del settore da realizzare in sei mesi, a invarianza di gettito” ciò che rappresenta anche “Una bella contraddizione” in quanto “la legge di stabilità del 2019 copriva la gran parte delle misure con le tasse sui giochi. Stesso metodo per finanziare il Reddito di cittadinanza e Quota 100”. Per Cardia, dunque, la nuova stretta che vale 1,1 miliardi, 631 milioni di euro dall’aumento del prelievo sugli apparecchi (Preu) e 472,7 milioni dall’aumento della tassa sulla fortuna, “non è un semplice aumento di tassazione” in quanto “il Preu comporta una riduzione dell’aggio, cioè quello che resta alle società del comparto sottratte le somme delle vincite e le imposte”.
Una somma, questa, “ che è assicurata – dice Caredia - all’inizio della concessione sulla base della quale si decidono investimenti”. Da qui i rischi e le ricadute negative per l’occupazione dell’intero settore che conta 75 mila addetti full time secondo l’ultimo Rapporto sul gioco pubblico, tanto che “la riduzione dell’aggio – sottolinea ancora il presidente di Acadi – rischia di mettere in sofferenza aziende, alle quali per altro viene richiesto di avere precisi requisiti patrimoniali ed economici per ottenere e mantenere la concessione”.
Cardia contesta dunque anche la tassa come forma di disincentivo al gioco: “Capisco la logica – dice – purtroppo non è così” perché “indebolire l’offerta sul territorio non intacca la domanda, semmai fa calare il controllo sul territorio e rischia di consegnare la domanda all’offerta illegale”. Secondo il presidente di Acadi che aderisce a Confcommercio, “bisogna sempre ricordare che i giochi di cui stiamo parlando, sono stati regolamentati dal 2001 e l’effetto sono state 10 miliardi di entrate fiscali all’anno”, le quali in gran parte sono “il risultato dell’emersione di un’attività sommersa” chiosa in conclusione.