“Fermiamoci prima che sia troppo tardi”. In un’intervista al Corriere della Sera il titolare del dicastero della Cultura, Dario Franceschini, lancia un appello preoccupato ai protagonisti della compagine in campo sulla tenuta del governo. “Questa esperienza – ragiona il ministro – è iniziata per evitare che Salvini assumesse i ‘pieni poteri’. Solo che si trattava di un elemento sufficiente a far partire il governo” ma per farlo durare “serve altro”.
Secondo il ministro del Collegio romano, “i governi vanno tenuti insieme da una serie di motivazioni e noi ci dobbiamo preparare ad affrontare due snodi fondamentali”, che sono prima di tutto la Finanziaria e poi le Regionali in Emilia Romagna e Calabria. E avverte: “Ecco, sia in Parlamento che sui territori rischiamo scelte negative”. E sul primo punto dice che “i partiti di governo devono difendere compattamente la Finanziaria” ma, nel contempo, “devono cercare le condizioni per costruire una maggioranza politica”. Cosa che non sembra avvenire, anche se la scelta del Pd di aver dato vita all’esecutivo con il M5S “è stata una scelta consapevole e convinta” e “ci sono delle condizioni minime per andare avanti”.
Tuttavia, aggiunge anche Franceschini, sulla Finanziaria — “dopo aver scalato una montagna che pareva insormontabile e che ha indotto Salvini a scappare da Palazzo Chigi — è emerso un senso di precarietà, è prevalsa la logica delle bandierine di partito”, addirittura con appelli alle opposizioni per ricercare in Parlamento maggioranze trasversali su emendamenti alla legge di Bilancio, dice riferendosi a Renzi e Italia viva. “È inaccettabile” chiosa.
Quindi quel che serve è “un patto di metodo”, tutte le modifiche ala legge di Stabilità “andranno preventivamente concordate” nella maggioranza. “Senza furbizie e in modo collegiale – avverte il capodelegazione dem a Palazzo Chigi –, abbandonando l’idea di voler sconfiggere il partner di governo. Perché i risultati sono un successo di tutti, e i problemi di tutti” Anche per no ripetere i risultati del governo gialloverde “che infatti è andato a sbattere”. E anche se i due esecutivi “non sono paragonabili”, è chiaro che “negare la prospettiva di trasformare questa esperienza in una maggioranza politica, toglie un’altra parte del collante al governo” osserva realisticamente il ministro.
Per questo non si spiega come per le Regionali siano stati esclusi gli accordi tra Cinque Stelle e Pd. “Capisco la necessità di non imporli, non capisco perché vietarli e basta”, chiosa Franceschini riferendosi con evidenza a Di Maio. Così il ministro si chiede: “Senza questa somma di fattori, si può stare insieme solo per la paura di Salvini?” E l’interrogativo diventa l’occasione per rilanciare un “secondo patto” basato sulla possibilità di “lasciare ai territori di valutare se ci sono le condizioni per evitare di essere gli uni contro gli altri” in quanto “gli elettori non capirebbero il motivo per cui a Roma siamo alleati e in periferia siamo contrapposti”.
E non si tratta di “un penultimatum, è una constatazione” perché “senza un metodo condiviso e senza una prospettiva comune non c’è futuro” anche perché “ il Pd non ha collaborato alla nascita di questo governo solo per evitare l’aumento dell’Iva, cosa giusta ma non sufficiente”. Tuttavia “ipotizzare un altro governo dopo questo, per noi è tempo perso” e al momento Giuseppe Conte “fa il premier nel miglior modo possibile”. Tuttavia all’orizzonte si profila solo il rischio che il governo lavori per varare la Finanziaria per poi lasciare il passo al centrodestra e Salvini. Franceschini annuisce, ma rilancia: “Io vorrei arrivare con questa maggioranza fino al 2028, vincendo le elezioni nel 2023”.
Ma su quale maggioranza eleggerà il capo dello Stato non si pronuncia”, perché è un argomento su cui “è vietato parlare per decreto”.