"Siamo qui per risanare la ferita inferta a quelle genti e ai loro discendenti, per chiedere ancora scusa per l'oblio che ha 'inghiottito' per decenni questa sciagura nazionale, alla quale i contemporanei - per superficialità o per calcolo, come ha affermato il Presidente Mattarella - non hanno dato rilievo. Siamo qui per ricordare e per riannodare il filo di una memoria spezzata, ma soprattutto per conservarla e trasmetterla alle nuove generazioni. Non si può infatti costruire una memoria condivisa e collettiva del passato senza il contributo delle diverse componenti della società". Recita così uno dei passaggi del discorso di Giuseppe Conte nel corso delle Celebrazioni del Giorno del Ricordo in memoria di tutte le vittime delle Foibe.
Una celebrazione che si compie nell'Aula del Senato dove sedici anni fa veniva consacrata dal Parlamento, a larghissima maggioranza, l'istituzione del Giorno del ricordo. "Da allora, ogni anno, celebriamo la memoria di una tragedia nazionale ed europea, consumata in quelle splendide, martoriate terre del confine orientale, dove - come scriveva nel 1947 lo storico di origine istriana Ernesto Sestan - si sono scontrati quei nazionalismi esasperati, quei totalitarismi oppressivi che hanno reso così feroce l'Europa del Novecento. Non è solo il numero di coloro che persero la vita soprattutto tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1945 a sconvolgerci e ad imporci il dovere morale di ricordare. Le modalità in cui vennero decise le sorti di tanti italiani furono efferate: esecuzioni sommarie, reclusioni in campi di detenzione, uomini vivi e morti gettati negli abissi delle Foibe, inghiottiti - per tanti, troppi anni - dall'oblio e dal silenzio".
"Il territorio dell'Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia, luoghi già martoriati dagli orrori dei precedenti anni, conobbero un'ulteriore ondata di violenza - ideologica, sociale ed etnica - esercitata in maniera indiscriminata su quegli italiani che scamparono allo sterminio, anche persone totalmente estranee a qualsiasi legame con il regime fascista. Cominciò - ricorda il premier - il drammatico esodo verso l'Italia: paesi e città si spopolarono della secolare presenza italiana, sparirono lingue, dialetti e una cultura millenaria risalente agli insediamenti romani e consolidatasi con la Repubblica di Venezia; vennero smantellate reti familiari, sociali ed economiche, cancellando storia, diversità, pluralismo e convivenza, sui quali si era forgiata nei secoli la civiltà di quei luoghi".
"A causa di tali atti persecutori circa 250 mila profughi, rientrando in Italia in situazioni drammatiche, sperimentarono nuove indigenze e privazioni, la difficile integrazione nel tessuto nazionale, il mancato risarcimento, ma soprattutto il dolore degli esuli, acuito dalla cortina di silenzio calata su quella tragedia e dal mancato riconoscimento pubblico dell'ingiustizia subita. Il percorso che ha condotto all'istituzione del Giorno del ricordo è stato lungo e faticoso, frutto dell'abnegazione con cui le associazioni degli esuli, i loro discendenti, letterati, storici e intellettuali hanno alzato per anni la loro voce contro l'indifferenza", nota ancora Conte che nell'Aula del Senato.
Poi il ricordo delle "struggenti, bellissime pagine letterarie di Nelida Milani, di Enzo Bettiza, di Guido Miglia, di Fulvio Tomizza, di Lina Galli, di Claudio Magris, e di tanti altri che hanno rivendicato il proprio diritto a testimoniare".
"Questo percorso è anche il frutto - sottolinea infine il presidente del Consiglio - di un processo di emersione della coscienza nazionale, che ha coinvolto intellettuali e politici, impegnati in una riflessione più matura e consapevole su quei tragici fatti, in tutta la loro profondità e complessità storica. È segno di grande maturità, per un popolo, affrontare la comprensione di fatti e memorie conflittuali del proprio passato, attraverso un dibattito pubblico serio e rigoroso, scevro da strumentalizzazioni, in cui storia, memoria e identità sono strettamente connesse".
"Non si può non ricordare in quest'Aula del Senato, che la legge del 2004 fu l'esito del confronto tra forze politiche contrapposte, che allora misero da parte le preclusioni ideologiche e le differenze valoriali, anche fortemente rivendicate, per impedire che quella dolorosissima vicenda continuasse a essere motivo di scontro e divisione, ma divenisse fattore di unità del popolo italiano".