Matteo Salvini esulta: la vittoria di Viktor Orban in Ungheria è, vista da lui, la riprova che l’onda del futuro dell’Europa si chiama sovranismo. Un passo in avanti verso la scalata di Palazzo Chigi, tanto è vero che il leader leghista, impegnato in questi giorni in un delicato gioco di equilibri tra M5S e centrodestra, affida a Facebook un auspicio impegnativo: “Spero di andarlo a trovare presto a Budapest da Presidente del Consiglio”.
Anche se è stato bruciato sul tempo da Giorgia Meloni, che oggi può inneggiare ai “patrioti d’Europa” che escono più forti dalle urne ungheresi con la tranquillità di chi da Orban c’è già stata, e in un momento topico: il 28 febbraio scorso, quattro giorni prima delle elezioni italiane. Un investimento che ora permettere di immaginare non pochi dividendi: la via del governo in Italia resta impervia, ma non chiusa al traffico.
È innegabile che il fronte sovranista-populista d’Europa sorrida per l’esito delle elezioni in Ungheria: Fidesz, il partito del premier, ha ottenuto il 48,9 percento dei consensi crescendo di quasi sette punti in una consultazione in cui l’affluenza è stata particolarmente forte. Opposizioni divise alla vigilia, oggi staccatissime nei conteggi: Jabbik, il principale concorrente, è abissalmente staccato al 18 percento, ed il suo leader Gabor Vona ha annunciato le dimissioni alzando la bandiera della disfatta.
In termini di rappresentanza parlamentare fanno 133 seggi per Fidesz sui 199 disponibili: maggioranza dei due terzi superata e ora il premier ha in suo possesso anche la Costituzione. Può cambiarla a suo piacimento. Esponente di spicco di quella classe di politici indicati come sostenitori della “democrazia illiberale” (che segue cioè le forme della democrazia costituzionale, calpestandone l’essenza), è difficile immaginare che sia pronto a modificarla per indebolire l’esecutivo, dare ragione all’Europa e aprire le frontiere agli immigrati. Semmai sarà il perfetto contrario.
Orban in questo momento è il faro e l’invidia dei sovranisti di tutto il Continente. Basta dare un’occhiata ai loro commenti per capirlo. In Francia Marine Le Pen lo celebra “perché ha saputo ristabilire l’ordine dei valori e affrontare l’immigrazione di massa”. In Olanda Geert Wilders, il capo del Partito della Libertà, ha definito la sua “una vittoria ben meritata”. Ancora più importante quello che accadrà in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia: insieme all’Ungheria sono i paesi del Gruppo di Visegrad, superlobby transnazionale che fa blocco all’interno dell’Ue per ottenerne i fondi strutturali per lo sviluppo economico senza doversi accollare le masse di immigrati e profughi. Ma anche l’Austria, che al governo ha le destre estreme (come Orban) amiche di Putin (come Orban) e fortemente euroscettiche (come Orban), può ora contare su un alleato che resterà al potere per altri quattro anni.
In Italia le ripercussioni del voto ungherese saranno probabilmente meno nette, ma altrettanto profonde anche se nel breve periodo. Salvini e Meloni, nonostante il risultato deludente del vertice tenuto ieri dal centrodestra a casa di Silvio Berlusconi, hanno un motivo in più per stare insieme, magari cedendo a qualche tentazione elettorale: dividersi ora che si potrebbe prospettare un ritorno in tempi rapidi alle urne sarebbe un controsenso. Ma proprio la prospettiva di consultazioni anticipate dove potrebbe farsi sentire l’effetto Fidesz indurrebbe a far serrare i ranghi a quanti, nei vari palazzi delle istituzioni, vedono la cosa come il meno desiderabile degli effetti collaterali. Tanto più che il Pd, poco intenzionato a fare la fine dei Socialisti magiari (vale a dire finire al 13 percento), potrebbe superare le difficoltà interne, o almeno raggiungere una tregua.
Ma è il Movimento 5 Stelle ad essere chiamato ad una riflessione più profonda su questo rafforzamento sovranista. Salvini ha immediatamente tentato di forzare la mano all’M5S, ma non si tratta solo di questo. I grillini erano apertamente euroscettici, ed ora lo sono molto meno. Avevano una posizione molto dura sul tema migranti, ma di recente l’hanno non poco ammorbidita. Anche i loro ammiccamenti nei confronti della Russia di Putin si sono fatti molto meno evidenti. Se una situazione politica è profondamente ingarbugliata, come lo è adesso in Italia, potrebbe bastare il risultato elettorale di un paese nemmeno troppo vicino per cambiare gli equilibri.