È ancora alta la tensione tra M5s e Lega sul 'caso Siri'. I due partiti di maggioranza continuano a tenere le rispettive posizioni, con, da una parte, il 'fuoco di fila' dei pentastellati che chiedono un passo indietro del sottosegretario leghista, indagato per corruzione, e, dall'altra, i leghisti che difendono l'ideologo della 'flat tax', cui il ministro Danilo Toninelli ha già revocato le deleghe. Tra i due 'fronti', non sarebbe in atto alcuna trattativa per arrivare a una soluzione - viene riferito da fonti governative di entrambi i partiti - in attesa dell'incontro 'chiarificatore' che dovrebbe tenersi lunedi' tra Siri e Giuseppe Conte.
Al momento, non vi sarebbero stati nuovi contatti tra il presidente del Consiglio e il sottosegretario, dopo la telefonata di mercoledì sera, nè Conte avrebbe discusso del tema con Matteo Salvini. Da un lato, Luigi Di Maio, chiede apertamente che il premier "spinga" Siri alle dimissioni. "Conte non ci ha mai chiesto un passo indietro di Siri", si fa, invece, trapelare dalla Lega, "e noi non abbiamo alcuna intenzione di tirare per la giacchetta il presidente del Consiglio".
Sarebbe questo il senso dietro le uniche parole pronunciate da Salvini oggi sul caso; parole dietro le quali, però, qualcuno ha letto una arrendevolezza - smentita al momento dai leghisti - alle decisioni del premier. "Siri? Non commento quello che decideranno altri - ha risposto il capo legista ai cronisti che lo interrogavano tra un affollato comizio e l'altro, in Sicilia, in vista della amministrative di domenica -. Parlo di vita reale".
"Nessun condizionamento", chiarisce Conte
Da Pechino, dove si trova per il Forum sulla Via della seta, Conte ha ricordato di aver parlato con Siri, prima di partire per la missione in Cina. "E mi sono scusato", ha confidato, per non averlo potuto incontrare proprio per il viaggio programmato da tempo. Il premier non ha nascosto che nella gestione del caso che coinvolge il sottosegretario leghista "c'è anche una considerazione umana per una persona che sta lì e attende di incontrare il suo presidente del Consiglio, cui deve delle spiegazioni". Ma quelle spiegazioni, conferma Conte, il presidente del Consiglio "le vuole ricevere, gli vuole parlare", dopodiché "la considerazione umana - ha puntualizzato - non potrà essere determinante".
A chi gli ha chiesto come, eventualmente, mettere fuori dalla squadra di governo il sottosegretario, se non fosse lui stesso a fare un passo indietro, Conte risponde con un "lo vedremo a tempo debito", rimarcando intanto che "se mi dovessi convincere in tal senso, non ci saranno alternative, per quanto mi riguarda". "La mia linea è sempre quella", ha assicurato Conte, "mi è molto chiara nella mente, non c'è nessun condizionamento".
Di Maio all'attacco. Salvin in "fase zen"
"Questo attaccamento alla poltrona non lo capisco", aveva aperto le 'danze' Di Maio, in un'intervista al 'Corriere'. "A Siri abbiamo chiesto un passo indietro. Continui a fare il senatore, non va mica per strada. Parliamo tanto di lotta ai delinquenti e quando un politico è indagato per corruzione stiamo zitti? Non funziona così. Certo che Conte dovrebbe spingerlo alle dimissioni. E lo farà, ne sono sicuro". Dal canto suo, Salvini ha ribadito ai cronisti di "aver incontrato una sola volta" Paolo Arata, l'imprenditore accusato di aver corrotto Siri per spingere per l'inserimento di un emendamento sull'eolico nella manovra del 2018.
"Io di pazienza ne avrei, ma la gente si avvicina per fare 'selfie', stringermi la mano e mi dice: Matteo, ma questi 5 Stelle vogliono continuare ancora così? Ti attaccano sempre? Perché non rompi?", aveva riferito in un'intervista a 'Repubblica'. "Io non voglio fare polemica, nonostante tutto quel che mi è stato detto in queste ore: ma mi chiedo se la mia stessa pazienza ce l'hanno ancora gli elettori che hanno voluto questo governo". Di Maio, "non l'ho sentito. Ma soprattutto non rispondo alle provocazioni. Sono entrato in una fase zen". "Il presidente del Consiglio è libero di incontrare chi vuole. Io con Siri ho parlato, mi ha detto di essere tranquillo e tanto mi basta. Per me deve restare al suo posto. E spero abbia modo di spiegare ai magistrati, che in un Paese normale lo avrebbero chiamato dopo un quarto d'ora, non settimane dopo", aveva ribadito.
E Maroni punta il dito su Giorgetti
Ma a tenere banco per tutta la mattinata è stata anche un'altra intervista: quella di Roberto Maroni alla 'Stampa'. Nel colloquio col quotidiano, il predecessore di Salvini al timone di via Bellerio è stato durissimo con Giancarlo Giorgetti. "La mia convinzione è che il futuro del governo c'entra poco con questa storia: sia che Siri rimanga o si dimetta, il governo non subirà veri contraccolpi perchè, con tutto il rispetto, non è che la figura di Siri sia così fondamentale. Io credo che la vera crisi potrebbe arrivare per il coinvolgimento di un'altra persona in una vicenda di cui ben pochi parlano. Il caso dell'assunzione del figlio di Arata da parte del sottosegretario Giorgetti", ha detto Maroni.
Premesso che è cosa nota che i rapporti tra Maroni e la coppia Giorgetti-Salvini si siano incrinati dopo la rinuncia dell'ex governatore lombardo a ricandidarsi in Regione, a fine 2017, ha comunque suscitato sorpresa nel partito un'uscita così allo scoperto contro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Qualcuno nella Lega lo ha letto come un avvertimento o addirittura una rappresaglia. Si vocifera, in via Bellerio, che Maroni aspirasse a essere candidato alle Europee ma che il tutto si sia risolto in un nulla di fatto. "Maroni 'gufa' un po'", sta "cercando di rientrare in gioco", si è limitato a rispondere Giorgetti. "Non credo proprio di essere un problema per il governo. Anzi, io lavoro tutti i giorni per questo governo e credo di risolverli, i problemi". L'intervista di Maroni ha fornito un assist ai 5 stelle. "Visto che Maroni indica il braccio destro di Salvini, Giorgetti, come il vero problema, allora gli chiediamo di andare in Procura, se sa qualcosa. Depositi tutto dai magistrati, lo faccia per il bene del Paese", ha chiesto il Movimento, in una nota.
Alta è l'attenzione dei pentastellati anche su un altro 'caso': quelli dell'uso dei 49 milioni di rimborsi elettorali irregolari fatto dalla Lega nella stagione del 'post Bossi', dopo le anticipazioni dell'Espresso sulla presunta gestione di tre milioni a favore di collaboratori di Salvini.