In un colloquio con il Corriere della Sera, il premier Conte è tassativo e dice: “Non voglio essere il primo premier italiano che subisce una procedura di infrazione” perché “l’Italia è la mia patria e io mi sento un patriota. Non voglio che il mio Paese sia assoggettato a questa procedura”. Quanto a sé, nei giorni critici di passaggio del suo governo, dice di sentirsi come nel famoso verso di Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Appese ma sempre pronte a cadere, al primo refolo di vento e di burrasca.
Dal vero Vietnam nel quale si trova in viaggio, ieri il presidente del Consiglio ha parlato con più giornali che oggi riportano le sue parole anche con accenti diversi. A La Stampa che titola “Non rompo con Bruxelles, per l’Italia sarebbe un disastro” dopo l’alzata del cartellino di ammonimento a correggere il tiro cui conti, ha detto per esempio che “la procedura è parte delle regole Ue. Per un Paese che è nell’Unione non è sufficiente dire ‘non le riconosco’, perché quelle regole ci sono anche a prescindere dalla volontà del singolo Paese che subisce la contestazione”. Pertanto “io lavoro - dice -per modificare quelle regole. Ma la buona volontà non è sufficiente se non lavoriamo al loro interno per neutralizzare la procedura. Cosa faremo quando scatterà?”
“Siamo una famiglia – aggiunge al quotidiano di via Solferino – e immagino ci sia tutto l’agio di fronte a una contestazione di poter replicare, spiegare e convincere anche i più scettici”. “Altrimenti, chiosa la giornalista, è l’avviso a Juncker, Oettinger e Dombrovskis, ‘non siamo più in famiglia’”. E sulla sua sorte personale, dopo il discorso in diretta tv di pochi giorni fa, con il quale ha fatto pressione e dato l’aut-aut ai suoi due vice, il premier avverte che senza risposte ai suoi interrogativi “la mia riserva resta” e che “è ancora presto per dire che va tutto bene”.
Perciò “Conte rivela il suo ‘moderato ottimismo’ e la determinazione a resistere, con atteggiamento pragmatico e senza sconforto’, alla guida del governo: ‘Se ci sono i fatti, sono più determinato di prima’. È un avviso ai due vicepremier? ‘Se non ci sono i fatti io sarò irremovibile, punto’. Vuol dire che la riserva sulle dimissioni non è sciolta? Sì, se non posso operare dovrò prenderne atto e porre il problema nelle sedi istituzionali consone’”.
“Se mai dovesse andare avanti l’esecutivo – obietta la Repubblica nell’edizione su carta - però potrebbe servirebbe un rimpasto. Conte non chiude la porta, anzi: ‘A oggi non ho ricevuto nessuna richiesta. Se arriverà, ci metteremo tutti assieme e decideremo il come e il perché’. La verità è che il problema principale resta la coabitazione con Salvini, sempre più premier ombra. A proposito, sa che l’ha irritato per la conferenza stampa? ‘E che dovevo fare, chiamarlo e spiegargli della conferenza stampa?’”.
E a questo proposito, ancora sul Corriere si legge un retroscena che “la conferenza stampa di Giuseppe Conte ha ricompattato i due vicepremier, ora uniti come un sol uomo nello scongiurare la crisi rapida e l’altrettanto rapido ritorno alle urne. Nel senso che il discorso del presidente del Consiglio non è piaciuto a nessuno dei due. Non a Salvini, e questo poteva anche apparire scontato; non a Di Maio, e questo scontato non lo era affatto. Raccontano fonti di entrambi gli schieramenti che, durante il discorso di Conte di tre giorni fa, Salvini e Di Maio hanno iniziato a tessere la loro nuova tela. La rete di protezione che il premier in persona aveva alzato sulle decine di fogli del suo discorso, oltre ad aver messo in subbuglio la macchina della comunicazione grillina, aveva già innervosito il suo vice pentastellato”. (…) Il riferimento, neanche troppo velato – si legge ancora – è a quel legame tra Palazzo Chigi e il Quirinale cui adesso anche Di Maio, oltre che Salvini, guarda con sospetto”.
Sotto un titolo “Caro Conte sveglia, il tuo Vietnam è qui”, su Libero il direttore Pietro Senaldi scrive che “il Professore con il cuore grillino non ha più colpi in canna, sa bene che se l’esecutivo andrà avanti sarà solo un passacarte”. “La vischiosità della situazione rende davvero la condizione di Conte simile a quella di un marine abbandonato nella giungla. (…) Mattarella a inizio settimana gli ha fatto imparare a memoria la lezione da recitare in Parlamento, per tirare avanti almeno un altro mese, così da evitare di portare il Paese al voto a Ferragosto. Al suo ritorno dall’Estremo Oriente,il premier ritroverà il caos, un giorno calmo, l’altro tempestoso. Di certo, non sarà lui a governare. Salvini ha vinto il referendum del 26 maggio ed è logico che il suo programma sia diventato quello prioritario, se non l’unico del governo gialloblù. Conte dovrà abbozzare e aprire l’ombrello”.